Recensioni 2025

1)Jimmie Moglia, Shakespeare in pictures –

          The Psycology and Magic of Memory-2024

   (by Jimmie Moglia, Amazon Italia Logistica srl)

2)Claudio Papini  Genova nel Risorgimento (pensiero ed Azione)

                   di Pietro Nurra 2024 (De Ferrari Editore)

3)Alberto Rosselli, L’Epopea degli Esploratori Austro-tedeschi

          in Persia, Afghanistan e Penisola arabica

 

                     

              Jimmie Moglia su Shakespeare

 

           

                                                             (Day salad of Jimmie)                                                                                                            

Quando gli Autori hanno all’attivo tanti libri e conferenze si permettono qualche sorriso autobiografico: ecco perché nel retro della cover, come preferisco definire la quarta di copertina, Jimmie, vegano (e per tutti coloro che si professano tali è una filosofia di vita), fotografa la sua insalata.

Jimmie di cui trovate recensioni ai suoi libri disseminate in questa pagine del sito e anche nel precedente su wix, è nato a Torino, ha studiato a Genova diventando ingegnere e in quel periodo amava anche esibirsi e cantare con Giorgio Gaber. Poi si è trasferito a Portland dove vive da più di cinquant’anni. E’stato PhD (“Dottore in Filosofia” locuzione anglosassone che indica il formare alla ricerca di alto livello e all’insegnamento universitario);  ha fondato una compagnia di computer.

In una rimpatriata a Genova per presentare nel 2011 alla Biblioteca Berio il “Nostro Dante Quotidiano- 3500 modi di cavarsela con Dante” (pubblicato grazie alla Regione Toscana) mi disse che Portland gli sembrava un po’ carente  come cultura.

Da allora sono passati più di vent’anni e i cambiamenti sono rapidi ad arrivare. Può essere un poco anche grazie ai 500 saggi su eventi e personalità  contemporanei o alle 80 ore di video dell’Autore trasmesse alla Portland Tv e al Portland College.

Scrive di sé nell’introduzione a questa nuova opera stampata  dalla Amazon Italia Logistica srl: “Confesso di non essere un accademico anche se ho un dottorato di ricerca in Ingegneria Elettronica. Dal punto di vista del mondo accademico letterario mi qualificherei come un “maude meccanico”  che lavorava per il pane sulle mura ateniesi. Inoltre sono lontano dal “pomp” che batte sulle importanti coste del mondo, di conseguenza mi manca l’ossigeno della pubblicità”. Detto questo specifica che il suo forzo è stato la creazione del primo ed unico Dizionario situazionale shakesperiano completo ed intitolato.

“Daily Shakespeare – afferma ancora – è un arsenale di armi verbali per guidare i tuoi amici in azione e i tuoi nemici nella disperazione” E ancora: “Imparare a suonare uno strumento musicale richiede metodo e un compositore su cu esercitarsi. Con la memoria il metodo è il “Mnemonic frames” e il compositore sulle cui parole praticare è Shakespeare “forza e anima” della lingua inglese. Questo titolo “Mnemonic frames”  significa collegare un pensiero o una citazione ad un’immagine il che permette di ricuperarli più prontamente con la memoria.

Con queste parole che indicano pure il profondo amore dell’Autore per la sua ricerca linguistica rimando alla lettura del testo aggiungendo come ci spiega Jimmie che l’apprendimento attraverso l’aggiornamento offerto da Internet deve avvenire come “un intelligente gioco grafico”. Diceva per l’appunto Shakespeare: “Non si ricava nessun profitto se non c’è piacere nel farlo” (No profit grows where is no pleasure taken”.

 

 

                Prof. Claudio Papini

                                                                                                     

 

 

                

 

“La comprensione della filosofia richiede in precedenza cognizioni, elementari di teologia e fisica, storia e biologia, estetica e letteratura, tutto un materiale che via via vien macinato al mulino del filosofo”.

Queste parole inserite in un libro del Prof. Claudio Papini indicano come sia arduo per chi non ha più seguito studi di filosofia dopo il liceo recensire i suoi libri pur se scritti con cartesiana chiarezza, però ne do ora alcune indicazioni.

            

               L’Attualismo

 

              

E’ del 2023: nasce come i precedenti testi dalla collaborazione di Claudio Papini con l’Editore Gianfranco De Ferrari per cui è diventato direttore della collana “Amici del Libero Pensiero”. De Ferrari nato nel 1937, fondò l’omonima casa Editrice nel 1985  poi diventata anche Fondazione culturale onlus con una produzione annuale di 80 titoli ed un catalogo di circa 1000 volumi pubblicati. Nel 2006 con la Fondazione Sorriso Francescano avviò un’attività parallela rivolta al sociale con la sigla De Ferrari & Devega – Edizioni musicali. La Fondazione custodisce l’Archivio di Edward Neil già musicologo di fama internazionale.

La collaborazione di Claudio Papini con De Ferrari inizia nel 1968 con la pubblicazione di “Marx” di Ernst Ingmar Bergman. Per De Ferrari la sua ultimissima opera è il commento a Pietro Nurra, Genova nel Risorgimento (pensiero e Azione) e dai suoi libri c’è sempre molto da imparare.

                

                  Pietro Nurra

          Genova nel Risorgimento

                 (Pensiero e Azione)

 

                     bella cover di Nicola Ottria: “Ho seminato draghi”.

 

Grande merito del Professor Papini è far conoscere validi autori e le loro illuminanti opere: in questo caso dalla Filosofia (grande amore del Professore) si passa alla Storia.

E da subito voglio inserire alcune immagini di un autore che si studia al Liceo: Ugo Foscolo e al suo fianco l’immagine di quello che forse è stato il suo primo amore, la diciottenne pisana Isabella Roncioni (in un ritratto da ragazzina e poi nello splendore di giovane donna)che rivive nel personaggio di Teresa dell’Ortis.

 

 

Come potete constatare il Foscolo ha un’aria da ribelle e il titolo del libro che Giorgio Leonardi ha scritto su di lui s’intitola proprio “Ugo Foscolo. Imprese, amori e opere di un ribelle”, pubblicato nelle Edizioni della sera dove lo definisce un grande maudit, anzi anche piuttosto “mandrillo” nei suoi rapporti con tante sue ammiratrici e donne.

Leonardi è dottore di ricerca in Letteratura, Storia della lingua e filologia italiana. E’ nato a Civitavecchia nel 1072. Ha acquisito fama di studioso di vicende scapigliate della letteratura di Otto/Novecento. Con Edizioni Meravigli, la principale realtà editoriale specializzata su Milano, ha pubblicato per l’appunto “Milano scapigliata”.

Nella prefazione di Papini campeggia un ritratto di Foscolo che mette in risalto come abbia combattuto a Genova nell’esercito francese alla difesa di Genova durante l’assedio. Il Foscolo “soldato, patriota militante, giornalista di profondo impegno politico, poeta e scrittore straordinario, non gradì che Napoleno cedesse all’Austria la repubblica marinara di Venezia, sua patria, con la pace di Campoformio. Lo giudicò un vero tradimento, però non abandonò le sorti dell’esercito francese,e, a maggior ragione, la causa italiana Quando Bonaparte crollò definitivamente dopo i “cento giorni”, Foscolo dopo una breve incertezza scelse la via dell’esilio.” Non vi è dubbio – si legge  - che Foscolo insegnò agli italiani la via dell’esilio.

Però è una storia che si ripete: l’Italia non era ancora fatta, ma Dante fu il “ghibellin fuggiasco” dalla sua Firenze. E venendo all’oggi i nostri giovani che spesso per meglio qualificarsi  vanno a studiare all’estero in fondo scelgono anch’essi la via dell’esilio.

In breve ricordo del Foscolo che nacque a Zante, allora territorio della Repubblica di Venezia, e poiché oggi il cellulare ci permette di vedere subito posti lontani ne allego una foto.

 

 

Figlio di un medico che lavorò a Spalato, nacque e studiò a Zante nel 1778 e poi si trasferì con la madre a Venezia, considerandola la sua patria. Quando con trattato di Campoformio (17 ottobre 1797) Venezia fu ceduta agli Austriaci Foscolo lo sentì come un tradimento: aveva allora 19 anni, era un ragazzo.

Per quanto riguarda Genova due anni prima, nel 1795, la Riviera di Ponente della Repubblica Ligure era già invasa sia dalle truppe Francesi e da quella Austriache che avevano opposte finalità. L’11 aprile 1796 Bonaparte divenne capo dall’armata francese e costrinse re Vittorio Amedeo III all’armistizio di Cherasco, sbaragliò gli Austriaci occupando Milano il 15 maggio. Sempre nel 1796 respinse i contrattacchi austriaci nel Veneto quindi invase l’Austria e dopo la pace di Campoformio che sanciva in Italia l’esistenza della Repubblica  Cisalpina e di quella Ligure, cedendo Venezia all’Austria. Facendo un passo avanti gli Austriaci presero la Bocchetta, via d’accesso alla città di Genova. La capitale della Liguria come Milano che lo era della Repubblica Cisalpina erano state investite dalle idee rivoluzionarie francesi e dagli ideali imperialistici napoleonici. Le truppe francesi a quel punto si rinchiusero a Genova ed erano guidate dal generale Massena fedelissimo di Napoleone che aveva circa 17mila uomini. Il 30 aprile mentre già i Britannici sparavano con i cannoni dalle navi sulla città, gli Austriaci scendendo da Monte Fasce cacciarono i francesi da Forte dei Ratti e cinsero d’assedio Forte Richelieu.

Affascinante questa ricostruzione storica che passa per nomi di luoghi e colline ormai conosciuti dai genovesi per le loro gite. Genova venne assediata  e vi erano circa 120mila persone destinate alla fame. Ci furono liti e risse per pochi ciuffi d’erba, i fanciulli orfani o abbandonati cercavano per le fogne qualsiasi rifiuto o qualche bestia morta. I 4/5mila austriaci prigionieri erano tenuti su barcacce ferme in pezzo alla Darsena e mangiavano le loro scarpe e le pelli degli zaini e tentarono anche di forare le barche per affogarsi.

Massena rifiutò un’onorevole resa e gli Inglesi bombardarono furiosamente la città. Massena propose un’inaspettata sortita per rompere l’assedio e dirigersi verso Nizza ma i suoi ufficiali non vollero dato che gli uomini erano solo 8mila e stremati dalla fame. Massena mandò una delegazione agli Austriaci chiedendo che non si parlasse di capitolazione.

Il popolo finalmente libero cantò per le strade inni di ringraziamento, accese luminarie e sonarono tutte le campane. Ma il nuovo reggente austriaco impose solo nuove tasse, proprio come i Francesi prima ed i Savoia nel futuro.

Durante l’assedio Ugo Foscolo, appena ventenne, aveva combattuto nell’esercito francese alla difesa di Genova (dal luglio 1799 al giugno 1800).

Era ormai il 1800 ma il dolore e la sconfitta erano come a Campoformio. In seguito nel 1849 quando  Venezia era l’ultima città che resisteva agli Asburgo e infuriava anche il colera Arnaldo Fusinato nell’”Ultima ora di Venezia” scrisse: “il morbo infuria / il pan ci manca/ sul ponte sventola/ bandiera bianca…”

Foscolo dopo Campoformio (trattato firmato il 17 ottobre 1797) aveva scritto l’Ode a Bonaparte liberatore (o Dedicatoria) stampata a Bologna nel 1797 ma con varianti ristampata a Genova nel 1799 quando il poeta che era soldato delle truppe francesi lo ammoniva in questa premessa: “Per far sì che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome”.

Il poeta non gliele mandava a dire pur militando ancora per lui.

Quando s’inizia la lettura di un libro non si entra subito in sintonia con lo scritto, ma quando succede è qualcosa che fa venir voglia di andare alla fine senza smettere. A me in questo caso è capitato al Capitolo Terzo  con titolo “I partiti in lotta e la propaganda rivoluzionaria”. Inizia con la puntuale descrizione di come fosse governata Genova dal governo oligarchico della Repubblica composto in base alle leggi del 1576 da tre Corpi: i Serenissimi Collegi (venti senatori in carica biennale e gli ex-Dogi) con Potere esecutivo, il Minor Consiglio (200 nobili)con Potere amministrativo e il Gran Consiglio che provvedeva all’elezione dei Magistrati e all’approvazione delle Leggi pecuniarie. Però dal XVIII secolo tutti i poteri dello Stato erano accentrati nei Serenissimi Collegi e nel Minor Consiglio. Perciò la parte liberale dei membri del Gran Consiglio, molto insoddisfatta, inviò al doge una Commissione per chiedere riforma di tutte le leggi costituzionali della Repubblica, attuando anche ostruzionismo nelle assemblee del Gran Consiglio. Lo scopo era anche più lontano: ottenere l’abolizione del regime feudale. Il Governo dopo sette mesi di istruttoria pose fine al processo imbastito dagli Inquisitori di Stato, liberando tutti i turbolenti arrestati, sia patrizi che borghesi. Solo ai Patrizi Luca Gentile e Giambattista Serra, ambedue contumaci, venne inflitta una condanna. Il Governo di Genova aveva usato clemenza anche perché gli Oligarchi contavano sulla devozione della plebe di città e del contado e sulla fedeltà delle truppe mercenarie. Invece nella Riviera di Levante per il suo pugno di ferro si era distinto Francesco Maria Spinola, Commissario a La Spezia, che diede fine alle persecuzioni solo quando fu nominato Commissario Straordinario proprio a La Spezia nel 1794: insomma era stato ripagato per la sua intransigenza. Solo nei tre anni delle vittorie di Bonaparte contro le monarchie assolute austriaca e piemontese, solo con la caduta della veneta aristocrazia, i partiti democratici genovesi avevano preso slancio.

Lo Zachiroli, amico di Gaspare Sauli, in una lettera ai Bianchi considera la Rivoluzione francese come un avvenimento paragonabile solo alla scoperta dell’America o all’aver doppiato il Capo di Buona Speranza.

E qui per me è  arrivata la sorpresa o il fascino verso questa storia genovese perché si racconta del magnifico Teatro che il marchese Giulio Brignole aveva fatto costruire nella Villa di Teresa Pallavicini a Voltri. Dopo la villeggiatura estiva alla Villa conveniva la nobiltà ed alcuni patrizi recitavano commedie, tragedie anche in dialetto genovese e melodrammi giocosi. Nel 1788 si erano recitate “L’isola dei portenti” e “Il nuovo Don Chisciotte”. Alle rappresentazioni aveva partecipato come attore dilettante Gaspare Sauli, che cinque anni dopo  giacobino infervorato era all’assedio di Tolone con l’esercito rivoluzionario francese.

Ecco come era la Genova di allora: pronta alle creazioni architettoniche, allo svago e alla battaglia.

Un documento che Claudio Papini definisce di altissima importanza “Manifesto all’Europa” redatto a Milano dai rivoluzionari genovesi che vi si erano rifugiati recita: …” gettate uno sguardo sopra coloro che avete imprigionato, informatevi chi sono cloro che in paese straniero si rifugiarono e ritroverete non già un miscuglio di vile canaglia, ma un complesso di Giureconsulti, di Medici, di Curiali, di Negozianti, di Artigiani, di Religiosi, di ecclesiastici e perfino di Nobili come voi ma di voi più magnanimi e virtuosi”.

Il programma dei rivoluzionari francesi si proponeva di far muovere da Genova legioni di propagandisti e di emissari che convertissero con la potenza della parola o dell’oro i Lombardi, i Piemontesi, i Napoletani e i Siciliani. Da Genova partiva quell’Unità d’Italia che poi si sarebbe realizzata nell’Ottocento grazie a Garibaldi, Mazzini, alle loro idee, alla loro lotta, ai loro seguaci e anche ai Savoia. E’ stato Vittorio Emanuele II a proclamarla il 17 marzo 1861: la nostra Repubblica non dovrebbe dimenticarlo.

Tornando a Genova fu epico  quel momento e questo libro ha il pregio di ricordarci le radici di quella grande Storia.

 

 

                  

 

Alberto Rosselli

E’ giornalista e storico ed ha il merito di farci conoscere scenari di guerre e di popoli anche lontani da noi.

Ho recensito alcuni suoi libri e per questo allego la cover e non recensisco perché come il Papa penso che le guerre siano sempre una sconfitta per tutti.

Però mi piace ricordare quando conobbi Rosselli: alla Crociera sul Po organizzata da il Giornale. Me lo ricordo a Venezia, in  piazza San Marco quando ci parlammo per la prima volta ed allora, pur molto giovane collaborava già ad illustri riviste. Allego sotto la cover il mio resoconto su quella Crociera che aveva lo scopo di far conoscere tra loro persone con gli stessi ideali, quelli difesi e divulgati da il Giornale di Montanelli.

Gli accompagnatori erano Gianni Granzotto e Giorgio Torelli definito il giornalista più amato dagli italiani.

 

            

Rimando ad altra pagina del mio sito dove ho commentato sempre di Rosselli La Caduta dell’Impero Ottomano e dove sono ben tre immagini dell’Autore tra cui una solare mentre si rilassa e ride.

Come storico ha all’attivo più di 30 libri che riguardano anche luoghi di Turchia ed Asia.

Crociera sul Po.

Non molto dopo la nascita de Il Giornale, il 25 giugno 1974, Montanelli venne a Genova alla Fiera del Mare per un incontro con i lettori ed ebbe un bagno di folla. Non potei andare.  Mio marito mi raccontò di aver incontrato due sposi che, avendo la casa piccola, tenevano tutti i numeri di questa testata impilati sotto il letto. Hegel definì i quotidiani “preghiera del mattino dell’uomo moderno” e del nostro i due sposini avevano fatto così un grande breviario.

Nel maggio 1976 ci fu il terremoto del Friuli e i miei tre bambini ruppero i salvadanai per portare l’importo a Luigi Vassallo, primo caporedattore delle pagine genovesi. Era ad accogliere di persona la gara di solidarietà e diede un buffetto al più piccino.

Quando Il Giornale lanciò i primi viaggi, occasione per conoscere, ma anche per conoscersi tra lettori e con fior di giornalisti come accompagnatori, decidemmo d’andare. Il motivo più importante, per me, far capire ai figli, nel ‘79 tra gli otto e i dodici anni, che qualora avessero incontrato insegnanti politicizzati, potevano guardare al Paese con amore e in modo non fazioso come attraverso le parole dei nostri accompagnatori: Gianni Granzotto e Giorgio Torelli. Trent’anni fa, ad accompagnarci sulla motonave Stradivari, anche il liberale d’idee Bruno Lauzi, le cui canzoni sono un amore grande per la vita.

Chiedo oggi ai figli, a loro volta genitori, cosa ricordino del viaggio. Il più piccolo mi risponde da Torino: “Ah la hostess, Carla! Devo avere la sua firma conservata da qualche parte”. Carla era una storica segretaria de Il Giornale. La figlia maggiore, da Milano, ricorda l’hotel dove pernottammo a Venezia: L’Ile des Bains, il primo bell’albergo da lei conosciuto. Il mediano, anche lui da Milano, mi dice: “Giocavamo a sette e mezzo, che è un gioco d’azzardo”.

A quel tavolo-“bisca”, a presiedere i giochi con tre bimbi, i miei due maschietti ed un altro dell’età del mediano, Bruno Lauzi, divertendosi assai e come un perfetto baby sitter! Sarà stato un gioco d’azzardo con lo spirito del ruba-mazzetto, quello che credevo stessero praticando.  Lauzi era sempre con i bimbi o solitario a prender sole sul ponte.

Nella prima serata ci era entrato in cuore, scaldando l’atmosfera con le sue musiche e la sua voce speciale, inframmezzando con barzellette sui nostri “tic” caratteriali, di piemontesi, liguri, napoletani..., tutta un’Italia. Con mio marito passeggiavamo sul ponte, e qualcuno ci gridò: “Lauzi sta dedicando una canzone a voi, i due genovesi mano nella mano”. Riascoltammo, commossi, “Ma se ghe penso”.

Granzotto, che fu presidente della RAI, in Tv aveva spiegato la politica estera creando una moda con l’impugnare la penna a sottolineare le parole. Sul Po, per timidezza (ce lo disse Carla), sfuggiva, rintanato in cabina, ma nelle pause dopo i pasti ci intratteneva con chiarezza eccezionale sui grandi temi politici e sociali del momento.

Ad essere assediato dai croceristi, Giorgio Torelli. Ci raccontava di Marcello Candia, l’industriale che curò i lebbrosi e del progetto di costituire una Fondazione a suo nome, di cui poi è stato primo presidente. Torelli salì a bordo a Mantova, per me era un mito avendolo seguito su Grazia, la rivista femminile cui fin da ragazzina mi aveva abbonato Pina, la zia madrina. Avevo letto del suo viaggio di quasi un mese su un Piper, con pilota un missionario Saveriano, per consegnare il primo Presepe per la chiesa congolese di Uvira con statuette in gomma antitermiti. Su Il Giornale, nella rubrica “Cosa Nostra”, era ormai di famiglia.

Ritrovo un suo articolo “L’Omone che teneva gli alberi in pugno”. Vi scrive di un dottore in scienze forestali che gli dice: “Da sei mesi, lei è mio fratello”. Spiega che lo legge dal primo numero del Giornale per concludere: “Mi considero - qui in Cadore – alfiere della più coraggiosa bandiera di carta che si sia alzata sulle rovine italiane. Lei non è forse parte della bandiera? Non è lei che dedica le sue colonnine ai solitari che resistono ai tempi? Ebbene, io la leggo e mi sento rappresentato. Lei è dunque mio fratello”. E’ il significato de Il Giornale di ieri e di oggi.

Di quel viaggio ho un grato ricordo per il giornalista Nicola Fudoli: a Venezia quando ci smistammo su due degli ordinari traghetti, il figlio più piccolo mi sfuggì correndo sull’altro. I parapetti dell’imbarcazione, con molto spazio vuoto tra i bordi, m’intimorirono ché senza sorveglianza non finisse in acqua. Fudoli mi gridò: “Tranquilla, ci penso io”!

                      Maria Luisa Bressani

 

 

Chiudo con questo amarcord, grata a il Giornale di cui poi divenni collaboratrice alla pagine di Genova quanto sia stata importante la sua opera di formazione e di senso civico. E concludo allegando l’immagine di Giorgio Torelli con il più piccolo dei miei figli, Edgardo, in quella Crociera che ritenni educativa appunto anche per i figli.

 

 

 

 

Inserisco ora un commento del giornalista Giorgio Torelli su San Orione e questo per due motivi:

-i giovani spesso non sanno chi sia stato il Santo;

-ci sono calendari e sillogi con il ricordo dei Santi però proprio il giornalista Torelli che sulle pagine de Il Giornale teneva la rubrica “Cosa Nostra” tanto cara a moltissimi lettori per il fatto di ritrovarsi in quelle cronache familiari di sentimento e humour, sa trattare anche gli argomenti di fede in modo da penetrare nel cuore del lettore.

Da Giorgio Torelli:

‹‹Sulle storie degli uomini giudicati santi – cioè intrepidi nell’amare gli uomini – c’è da riflettere. Don Orione, di cui lei avrà sentito parlare, oggi avrebbe cent’anni (era nato nel 1972). Troppi, dirà lei, per capire il nostro tempo. Oggi tutto si brucia così in fretta, le idee, le ideologie, le impennate e le rivoluzioni di maggio. Cos’ha mai da dirci quest’uomo con i capelli a spazzola e il colletto da prete?

‹‹Vede quest’uomo che sorride, ha lanciato proprio adesso un sasso contro le vetrate della sua quiete spirituale, gentile amico. Non se n’abbia a male. Quest’uomo, mentre lei legge le righe, sta insidiandola da vicinissimo. Come se ci fosse. Egli domanda – lui che l’ha fatto a tempo pieno – una sua partecipazione immediata, di getto, alla rivoluzione. Intendiamoci: all’unica rivoluzione che abbia un senso, la sola che si fondi sulla verità: quella di Gesù Cristo. Poiché altre non ce ne sono.

‹‹Orione le fa considerare questo, in pratica: il mondo può essere cambiato dai rivolgimenti politici, dai guelfi e, insieme, dai ghibellini. Ma i tempi politici sono sempre lunghi e intanto gli emarginati crescono, le belle cause subiscono sempre rinvii. L’umanità spesso non aspetta che questo. E’ così che riesce facile ignorare chi ha fame, sete, dolore, strazio. A chi è nella tenaglia del dolore, la società può comunicare burocraticamente: continuate con pazienza a soffrire, un giorno si farà la rivoluzione capace di salvarvi.

‹‹Vede, ora, chi fu don Orione, figlio di uno spaccapietre piemontese ex garibaldino? Fu un cristiano che la sua rivoluzione la fece subito. Che provò fortemente a dissodare la Terra senza concedere deleghe ma impegnandosi di persona. C’era un destino di famiglia, si vede. Questo prete in fondo si occupò sempre di pietre, non se ne scordò un giorno solo: muri di pietra dell’indifferenza da abbattere a spallate, appelli perché fossero portate pietre nuove alla sua causa, macigni d’incomprensione tenuti con letizia sul cuore. Non le abbiamo forse detto prima che questo centenario don Orione sta tirando un sasso, ancor oggi e con tanta forza, proprio a lei che neppure conosce?

‹‹ Orione – ci creda – si scusa di farlo. Ma anche chi, come lui, ha perfino respirato in nome della carità, non ha mai mancato d’un obbligo: quello d’imporsi con la violenza dell’amore alla considerazione dei silenziosi, degli inadempienti. Diciamo meglio: dei non ancora mobilitati. Orione – ecco il senso di queste righe – chiede anche a lei di diventare un rivoluzionario infiammato. Di unirsi a ciò che lui stessi ha fatto e i suoi uomini e donne continuano a tenere saldamente in piedi. Di compiere lei pure, ordinato nella sua esistenza, un gesto sovversivo, contestando le sue abitudini. Forse lei è anche meglio di don Orione. Dio può saperlo. Ma se non lo fosse, se avvertisse l’urgenza di dare, perché negarsi? Questo foglio così

leggero, in realtà è un manifesto per mettere in crisi, oggi stesso la sua indifferenza al paesaggio del dolore: il suo non aver visto un bambino solo, un vecchio ammalato, un mutilato nel fiore degli anni, un cucciolo d’uomo diverso da quelli che corrono, ridono, parlano e vanno a scuola saltando, col grembiulino bianco.

‹‹Don Orione lo sapeva e ha provato a fare la sua parte. Non vorrebbe dargli una mano, subito, come fosse vivo? Perché vivo è: ci sono le sue opere, gli uomini della sua congregazione che non cessano di battersi››.

 

Terzo motivo per cuio ho allegato questa immagine è perché Torelli è stato amicon anche di Don Pino Zambarbieri, terzo successore di San Orione e don Pino che chiamai zio fin da bimba è stato un tempo un poco la mia guida spirituale e conservo alcune delle tante cartoline che mi spediva dai suoi viaggi nel mondo presso l’Opera della Divina Provvidenza, proprio come un tempo faceva il Santo con i tanti allievi dell’Opera.