Questa pagina s’intitola “i fiori” perché ad ogni Autore è accostato un fiore che ricorda il suo libro.

 

 

                                         INDICE

 

1) Claudio Papini, L’attualismo, De Ferrari,2023

2) Claudio Papini, Elementi di filosofia della scienza, De Ferrari, 2024

3) Enrico Halupca, Batiscafo Trieste, Presentazione

4) Roberto Orlando e Stefano Termanini Genova infinita, Ed. Stefano Termanini, 2024

5) Roberto Vecchioni, Tra il silenzio e il tuono, Einaudi,2024

 

 

 

                     L’ATTUALISM0 e ELEMENTI

                     Di Filosofia della Scienza

                         di CLAUDIO PAPINI

 

 

 

 

Per questi libri del prof. Claudio Papini ho pensato al papavero perché con la sua fiamma indica che dobbiamo concentrarci su quanto è attuale e per capire l’attualità è indispensabile saper di filosofia.

Sarà la recensione ad indicare in breve cosa il Professore intenda per Attualismo e cosa nel suo libro successivo. Perché mi succede di pensare e ripensare come recensire in modo appropriato dato che non frequento più la filosofia dai tempi del liceo e intanto che penso il Professore riesce a mandare in stampa un altro dei suoi preziosi libri.

Non solo il primo Autore che ci presenta in Attualismo si chiama Papafia quindi il nome ha una certa assonanza con papavero e con la sua fiamma.

 

Prof. Claudio Papini

                                                                                                     

 

 

                

 

“La comprensione della filosofia richiede in precedenza cognizioni, elementari di teologia e fisica, storia e biologia, estetica e letteratura, tutto un materiale che via via vien macinato al mulino del filosofo”.

Queste parole inserite in un libro del Prof. Claudio Papini indicano come sia arduo per chi non ha più seguito studi di filosofia dopo il liceo recensire i suoi libri pur se scritti con cartesiana chiarezza, però ne do ora alcune indicazioni.

           

               L’Attualismo

 

              

E’ del 2023: nasce come i precedenti testi dalla collaborazione di Claudio Papini con l’Editore Gianfranco De Ferrari per cui è diventato direttore della collana “Amici del Libero Pensiero”. De Ferrari nato nel 1937, fondò l’omonima casa Editrice nel 1985  poi diventata anche Fondazione culturale onlus con una produzione annuale di 80 titoli ed un catalogo di circa 1000 volumi pubblicati. Nel 2006 con la Fondazione Sorriso Francescano avviò un’attività parallela rivolta al sociale con la sigla De Ferrari & Devega – Edizioni musicali. La Fondazione custodisce l’Archivio di Edward Neil già musicologo di fama internazionale.

La collaborazione di Claudio Papini con De Ferrari inizia nel 1968 con la pubblicazione di “Marx” di Ernst Ingmar Bergman, il Professore ha una lunga esperienza didattica nei Licei genovesi, sia il Colombo che il D’Oria. Per De Ferrari la sua ultimissima opera è il commento a Pietro Nurra, Genova nel Risorgimento (pensiero e Azione) e dai suoi libri c’è sempre molto da imparare.

Vengo in tema a L’Attualismo che ho citato nella pagina del mio sito “4 fiori” associandolo al papavero anche perché l’introduzione inizia raccontandoci del liberale Novello Papafava de’ Carraresi, presidente RAI dal 1961 al’64. Questi nel ‘1922 scriveva che la guerra del 15/18 era stata la fine dell’umanesimo, in quanto aveva sconfitto la civiltà nata dal Rinascimento, umanistica e illuministica. La Chiesa cattolica “depositaria di una morale assoluta ed erede della tradizione aristotelica-tomistica ne era un’avversaria irriducibile”.

Il pregio della scrittura del Professore si rivela in aneddoti o in questo incipit nel ricordare alcune canzoni che divennero cavalli di battaglia di Achille Togliani nel 1920 ma mescolandole insieme ci colpisce con “nel 1919 vestita di voile e di chiffon… riparammo per la pioggia in un portone”. E il colpo di genio o il sottile umorismo è il riunirle anche a “Signorinella pallida, dolce dirimpettaia del quinto piano”. Si crea un’atmosfera romantica che rende sopportabile il ricordo della guerra. Gli avvenimenti essenziali di questa e di ciò che ne provocò lo scoppio sono indagati con assoluto rigore. Tutto questo per portarci a riflettere sul fatto che realismo e idealismo sono accomunati dalla realtà che diviene. E così siamo condotti come per mano a capire che l’attualismo “la legge dell’uomo” ci dice “pensa” ed è rivolta a ciascuno di noi perché nel nosce te ipsum consiste la suprema legge etica dell’uomo.

Non solo: anche per la tecnica la suprema legge etica è “pensare”, conoscere se stessi come volontà di potenza. L’evidenza del divenire può essere assimilata all’esperienza che si traduce nell’atto del pensiero e questo è trascendentale. Tale evidenza porta sulle spalle – come conclude il Prof. l’intera storia del mondo. Bisogna però arrivare a “pagina 38” per capire bene il titolo del libro, perché richiamandosi a Gentile il Prof. ci spiega che la posizione estrema dell’idealismo può anche essere chiamata idealismo attuale o attualismo.

Da notare la bella cover di Nicola Ottria, in cui Giovanni Keplero difende la madre dall’accusa di stregoneria, realizzata a Genova nel 1970. E qui si scopre anche un’altra freccia all’arco di Papini: è un appassionato ed intenditore d’Arte e Ottria è un artista nato a Genova nel 1943 le cui opere sono passate in asta ben nove volte. Ne allego l’immagine perché sembra di un antico profeta.

                

 

       Elementi di filosofia della scienza

 

             

 

Penultimo testo di Papini ha di nuovo la cover di Ottria.

Ma prima di entrare nel merito del testo mi soffermo un attimo su Edward May, l’Autore cui Papini dedica questo libro e traggo alcuni spunti del retro della cover che parla di lui.  Nato Nel 1905 a Mainz e morto nel 1956 a Berlino, è stato un biologo tedesco, teorico della scienza (epistemologo) e filosofo della natura, interessato anche alla zoologia per cui ottenne il dottorato di ricerca presso l’Università di Francoforte. Nel 1942 lavorò Presso l’Università di Monaco e non fu arruolato dalla Wehrmacht causa la sua sofferenza cronica ad un orecchio. Però riuscì a servire il suo Paese nella Seconda guerra mondiale perché nominato capo del Dipartimento di Entomologia per la ricerca scientifica della Difesa. Si occupò delle cause del proliferare dei topi nelle fogne dei campi di concentramento e sviluppò nuovi antidoti contro l’infestazione di zanzare specie quelle che trasmettevano la malaria. Partecipò a progetti di guerra biologica fu imprigionato nel 1945 ma rilasciato perché il suo lavoro scientifico era stato ritenuto valido solo nell’intento di combattere gli insetti e si era rifiutato di fare esperimenti sugli esseri umani. Nel 1947 fu testimone ai processi di Norimberga. Ma l’aspetto di questo eccezionale ricercatore così come presentato da Papini, l’aspetto che più mi ha fatto entrare in sintonia è stato il suo aver condotto ad inizio carriera ricerche sulle libellule presso il Museo Seckenberg.

Penso che in natura le libellule siano l’essere più ricco di grazia del creato più ancora delle farfalle perché la loro presenza è anche accompagnata dal suono delle ali. E’ come se suonassero per noi.

Ricordo personale:

ritorno con la memoria a quei piccoli libri che mio padre mi leggeva da bimba e tra questi c’’era la “Signora Brucatutto che parlava appunto della trasformazione e nascita di una leggiadra libellula. E - sorpresa – andando su Internet ho trovato che quel libricino fu edito per la prima volta nel 1940 ed oggi è diventato oggetto di antiquariato al punto che su un sito viene venduto a 250 dollari. Un libro per bimbi di quel valore!

Allego l’immagine nata dall’immaginazione degli illustratori Monti e Iolanda Colombini

           

 

Grande merito di Papini è riportare alla memoria personaggi del passato dalle vite interessanti e che ancora ci possono insegnare.

La prima edizione è del 1951 e nel 1961 è approdato a Genova con il titolo Forze geometriche, testo curato da Papini per De Ferrari.

Il testo è riccco di spunti o frasi su cui riflettere, come  “Nessuna constazione sperimentale è in grado d’imporre una data geometria”, opp. “Il principio del pensiero non è in nessun modo un dato, ma un’origine”, o ancora:”La libertà di scelta non vale solo per la geometria, anzi si può far valere in tutti i problemi fondamentali della ricerca scientifica”, o riguardo ‘L’induzione’ che si può intendere come salita dal particolare all’universale mentre la deduzione sarebbe la discesa dall’universale al particolare: però le cose sono in realtà  straordinariamente sviluppate e complesse”.

Tanto su cui riflettere e la conclusione  è che non si può concepire una rappresentazione chiusa del mondo.

In conclusione:

“Filosofare significa lavorare intorno a dei problemi, precisamente quelli che sono riservati al pensiero puro e le scienze particolari con i loro strumenti e metodi non possono afferrarli”.

 

                           BATISCAFO TRIESTE

                          di ENRICO HALUPCA

 

 

 

 

L’11 maggio ore 11 allo Yacht Club Adriatico Enrico Halupca ha presentato il suo libro “Il Trieste” nell’incontro intitolato L’impresa del Batiscafo Trieste. La casa editrice Italo Svevo di Trieste sarà presente al Festival MareinFvg proprio con questo testo.

Per ricordare Halupca ho scelto la genziana fiore dei monti che ha il colore del mare perché non c’è triestino che non abbia fatto escursioni in Carso e che non sia amante del mare.

Ad Halupca devo gratitudine perché quando pubblicai con Lint (editrice triestina) il libro tratto dalle lettere dei miei genitori in tempo di guerra e tra i dieci finalisti al Premio di Pieve  di Santo Stefano (AR, Toscana) fondato da Valerio Tutino e che raccoglie le memorie di tanti italiani mi guidò nella pubblicazione per la Lint. Anzi una volta con grande garbo mi fece presente che ero incorsa in un errore storico.

Quanto alla storia del Batiscafo il 23 gennaio 1960 con a bordo Jacques Piccard (che lo aveva progettato) raggiunse la profondità record di immersione (11mila metri sotto il livello del mare) nell’abisso Challenger nella fossa delle Marianne.

Il batiscafo è esposto al Museo navale di Washington.

 

                        

                    GENOVA INFINITA

         ROBERTO ORLANDO e STEFANO TERMANINI

 

             

 

Un libro raffinato che richiede un fiore raffinato e queta orchidea mi è stata regalata il gennaio scorso da Daniela Massocco e Andrea Guglielmino miei allievi nella prima liceo classico del Doria (anno 1972/73).

Per questo testo mi appoggio alle parole del retro della cover dei due autori: “abbiamo camminato per la città. Se la sua bellezza è tanto esposta quanto nascosta, noi, ci siamo detti, faremo la nostra parte per portarla tutta in luce. Raccontare deve essere questo: mettere in luce. Con le immagini e con le parole.

Allego alcune foto dal libro che sono di Orlando

mentre i testi sono di Termanini:

 

 

 

 

 

Elenco le immagini:

1)Galleria dorata di Palazzo Tobia Pallavicini; 2) il matitone; 3) Nervi passeggiata Anita Garibaldi, 4) la cremagliera di Granarolo; il cibo è cultura: la Panissa; 5) Staglieno: Tomba Oneto, angelo di Monteverde

 

 

 

                 TRA IL SILENZIO E IL TUONO

                       ROBERTO VECCHIONI

 

                  

 

E’ la passiflora il fiore che si addice alla vita piena di successi ma anche segnata dal dolore del geniale cantautore, poeta, scrittore di libri

 

 

Roberto Vecchioni 

Nel programma televisivo “In altre parole” di Massimo Gramellini, il “cantaprofessore” Vecchioni come lo ha definito l’intervistatore Massimo ha definito il suo libro <<Tra il silenzio e il tuono>> come un dialogo tra il suo corpo di ragazzo in crescita con la sua anima, rappresentata dal nonno che non gli risponde mai. Però gli parla e lo educa attraverso le persone che ha conosciuto e ciò che la vita gli ha insegnato.

Ho pensato di dividere il mio commento in due parti: quella che riguarda il ragazzino in crescita e l’altra con le esperienze del nonno.

Parte prima.

Vecchioni da bimbo e poi da giovane, cosa ricordare di lui? S’incomincia subito da quando dice:<<Più di tutto mi piacciono le parole: le vorrei sapere tutte>>. (In Tv dirà che le parole hanno dentro l’anima e questo è tanto più importante per chi come lui è stato per tutta la vita professore di greco e di latino, per chi come lui ha insegnato).

Tra i suoi primi ricordi Napoli in casa di nonna Annunziatina, avara come Paperone. Gli zii gli regalavano chi 1000 chi 1500 lire e lui le spendeva tutte in giornaletti. Un ricordo di autentica poesia quando gli occorre un incidente ed è costretto a letto ma di sera vede “le luci, tante luci a rincorrersi per la meravigliosa via Caracciolo, su su fino al Castello”.

Roberto ebbe un’istruzione elitaria presso l’Istituto Gonzaga dei Gesuiti e la scuola dei sacerdoti come quelle delle suore, vedi le Marcelline avevano una marcia in più rispetto a quelle statali: una tradizione di lunga data, che invece il professore della scuola statale è costretto a crearsi ed inventarsi da sé.

Gli piaceva il gioco del calcio e il suo idolo sportivo era il portiere Giorgio Ghersi “che si catapultava sui centravanti avversari come un kamikaze (suo soprannome) sugli aerei giapponesi.  Nasce per lui anche l’amicizia per un compagno che come lui, praticando il calcio, faceva il portiere. Un’amicizia che s’interrompe quando lui compie un piccolo sotterfugio per vincere e l’amico, molto leale, di lui non vuol più saperne: triste perdere un’amicizia sincera!

A scuola quando si trova a studiare Montale suo padre gli dice: <<Uno che vede ciò che noi non vediamo>> e questo è lo sguardo di ogni grande poeta. Con i compagni un po’ goliardi criticano Carducci e c’è al riguardo una gustosa maldicenza di Salvatore Di Giacomo che a cena con lui quando il Vate gli suggerisce di poetare in italiano per avere un pubblico più vasto risponde: <<E lei dovrebbe togliere la mano dal ginocchio di mia moglie perché chist’è ‘o paese ca se te prore ‘o naso more acciso>>.

Pur se io non amo il Carducci di lui bisognerebbe ricordare sempre quella frase: <<E sempre corsi e mai non giunsi il fine>>, quindi il Vate aveva dovuto sfangare parecchio per sé e la famiglia”. E c’è in una delle “risposte” del nonno questa considerazione di un nativo dell’Amazzonia: <<Ma voi correte, correte sempre: dovreste ogni tanti fermarvi e aspettare che la vostra anima vi raggiunga>>.

In casa Vecchioni il padre Aldo, giocatore d’azzardo e alle corse di cavalli, ebbe un colpo di fortuna. Trasferitosi con la famiglia a Milano, vinse un milione e tutte le corse ippiche del 1954 con il cavallo Nelumbo comprato per due lire. Una fortuna che poi si dissolve per il vizio del gioco al punto che in casa sono costretti a mangiare a sera gli avanzi del mezzodì e diventa fondamentale per andare avanti il ruolo della madre che Roberto ricorda con splendide parole. Ma anche del padre dice: <<Ha perso una fortuna ed è per questo che l’ho amato tanto>>. Felice Vecchioni bimbo che è stato amato dai suoi genitori e li ha riamati.

Salto avanti negli anni quando è diventato un ottimo allievo e poi sarà professore di greco e latino per tutta la vita, ma per stare in ambito familiare salto a quando incontra la sua seconda moglie Daria Colombo, entrambi con un matrimonio fallito alle spalle. Sarà lei a sostenerlo a spingerlo a coltivare il suo “mestiere” di cantautore che a 44 anni con Samarcanda gli fa vendere 80mila copie.

Due cose mi vengono in mente perché un libro piace tanto di più quanto più ci si immedesima in alcuni aspetti di esso.

Anch’io mi sono laureata in greco e quando Roberto parla di Achille e Patroclo dissento da lui e da una narrativa moderna che li vede amanti: certo che nella Grecia antica i costumi non erano plasmati dal credo cristiano, ma tra i due eroi leggo una profonda amicizia più che un rapporto intimo. Amore e Amicizia hanno entrambi alla base la lealtà che implica fin il sacrificio di sé per il bene dell’altro, la persona che si vuol proteggere.

E ritorno ad un altro ricordo personale quando Daria sa della morte del figlio Arri e grida: il ricordo è di quando una camionetta di giovani militari cadde dal viadotto autostradale che scavalla il torrente Nervi all’estremo levante di Genova. Il capo redattore delle pagine di Genova de il Giornale andò a raccogliere le testimonianze e poi scrisse: “L’urlo nero delle madri”, frase che non mi piacque mentre ora attraverso lo stesso dolore di Daria capisco che meglio non avrebbe potuto dire.

In una pagina precedente Roberto ha parlato dei quattro figli: “Francesca (avuta dalla prima moglie) sfidante compulsiva in faccia al sole” che per lui padre si può definire l’estate, Caro che “sa reggere di tutto: il germoglio di ogni possibile fiore” e per lui è la primavera; Dodi “il suo plagio sfacciato con la sua malinconia spavalda” e che sa studiare da aquila e per lui è l’autunno, e poi c’è Arri, un inverno di neve dolce, tutto suo madre e lui lo ama proprio come ama sua madre Daria.

Roberto è poeta anche in questi ricordi familiari.

Chiudo con poche parole sul titolo per come lo interpreto.

Perché il tuono? È la paura dell’attesa che si fa felicità del sogno avverato (e lui confessa di aver sempre paura quando sale su un palco, ma poi arriva lo scroscio, il tuono degli applausi).

E il silenzio: il momento in cui si concentra in se stesso per inventare, per far sognare e farsi amare e ci riesce: la gente lo ama.

 

Seconda parte: il nonno in realtà non risponde ma parla di temi che gli sono cari come il traffico caotico che gli fa produrre ben due “risposte”.

Mi viene in mente quando una volta ero davanti alla stazione Brignole di Genova in coda e quando si mosse l’auto davanti la seguii. Mi fermò il vigile: <<Non ha visto che il semaforo era rosso?>>, ed io: <<Ho seguito l’auto davanti a me>>. Lui: <<Signora Bressani ma quando Lei vede un’auto che si muove le va dietro come una pecora?>>. Per fortuna non mi fece la multa. Vecchioni se la cava con il vigile con molto più estro di me.

Invece davvero indimenticabili alcuni suoi ritratti di persone che ha conosciuto come di Carlin Petrin fondatore di Slow food.

C’è una lettera ai professori Delle Piane Confalonieri e Vitulo in cui da grecista parla della democrazia con questa definizione: <<Il potere, l’ordine costituito, il patto comune per vivere insieme, in una parola la polis, è degli uomini, dei cittadini>>.

E ancora: <<Un mito, qualsiasi mito, spiega come dal nulla nascano i comportamenti, i legami e infine le leggi, quel modo imperfetto di convivere che si chiama democrazia>>. E aggiunge questo comandamento in greco che suona così: <<S’impara soffrendo>>. Quindi ci parla del mito di Prometeo che rubò per gli uomini “il fuoco, cioè l’intelligenza, la tecnica e l’arte”. Si diceva una volta dell’artista che si rivelava con la zampata del leone, ma per Vecchioni basta l’unghiata. Conclude da grande professore di greco con l’immagine di Prometeo incatenato alla rupe del Caucaso, ma “fiero, indomabile, commosso e innamorato delle sue creature” e conclude: <<Come io di lui>>.

Solo un neo ma importante in questo libro. Forse da professore scafato lo fa per meglio entrare in sintonia con un suo allievo dello IULM di Milano: usa qualche parolaccia di troppo, quelle per cui una volta si diceva: <<Lavati la bocca>> e perché l’ammonimento avesse più presa qualcuno lavava davvero la bocca al bimbo con il sapone. No, caro Vecchioni, queste cose non si dicono!