INDICE
1) Claudio Papini, Il caso e il
destino (2021 De Ferrari Editore)
2) Alessandro Ballerini, BOBBIO -
c'era una volta – “La contrada dei Matti" (2021, Lir Edizioni)
3) Giglio
Reduzzi, Papa Giovanni non si tocca (2021 Youcanprint)
4) Giglio
Reduzzi, Meriti e Demeriti di Papa Bergoglio (2021 online)
5) Umberto
Serra, Ricordi di Guerra (2021 Editore Stefano Termanini)
6) Senso Espresso
Coffee.Style.Emotions. A cura di Barbara Foglia, Edgardo Ferrero, Margherita
Pogliani, Marzia Camarda
Jules Sageret
A cura di Claudio Papini
(Michelangelo
Merisi da Caravaggio: Buona Ventura 1593/94)
La prima edizione del Libro di Jules Sageret è del 1927 presso la casa
editrice Payot di Parigi
<<Il Caso e il Destino>> a cura di
Claudio Papini è un libro che diverte, insegna e fa alzare gli occhi al cielo.
L’argomento è ben spiegato dal Professore sia in quarta di copertina che
nell’Introduzione.
Con parole sue:
“Il gioco d’azzardo e quello del destino (fato) sono
intrecciati in documenti nell’ambito delle più antiche civiltà e lo stesso
linguaggio ci dice che la parola francese hasard
(donde il nostro ‘azzardo') deriva dall'arabo al-zahr che significa 'dado’ mentre il termine 'caso' è vocabolo di
derivazione latina casus (caduta),
legato a cadere, accadere.
La radice della parola destino
è 'sto', inteso come ciò che incombe,
mantenendosi tale lungo il corso della vita individuale o in momenti
particolari che incidono profondamente nell’andamento dell'esistenza stessa
degli individui (tenendo presente inoltre che il tratto individuale, la forza del destino di verdiana memoria,
può coinvolgere i gruppi familiari e le società intermini più o meno ampi a cui
determinati individui appartengono)".
Un testo in XIV capitoli
che non sarebbe stato possibile se non con la sinergia di tre grandi visionari:
l’Autore Jules Sageret, la rivisitazione del commentatore
Claudio Papini e l’aver pubblicato in questo 1921 da parte dell'Editore De
Ferrari. Per inciso, dopo 33 anni d’insegnamento di Storia e Filosofia nei
Licei (scientifici e classici) per Papini è diventato per De Ferrari ideatore e
direttore della collana <<Amici del libero pensiero>>.
Inizio dall’aspetto che diverte, inteso anche nella forma
riflessiva del s’amuser: quindi il fine non è solo divertire ma divertirsi e
avviene per la cultura caleidoscopica di Papini attraverso sconfinamenti in
varie epoche storiche.
Degli aneddoti ne cito qualcuno come “il miracolo” che avvenne
a Montecarlo quando si verificò la comparsa per 29 volte consecutive del rosso
nel gioco semplice dei giocatori di rosso e nero. Il conte Georges-Louis
Leclerc d Buffon (1707/1788) dichiarò di aver impiegato alcune settimane a
lanciare in aria una moneta per 4mila volte rimanendo però scettico
sull’equilibrio (non perfettissimo) raggiunto in questo esperimento di testa o
croce. Questo per dire che al tavolo da gioco non ci si divertiva soltanto ma
si studiavano le possibilità offerte dal caso per imbrigliarlo. Buffon, celebre
naturalista, era tenuto in grande stima da Laplace, illustre scienziato
francese ed astronomo che, ministro della pubblica istruzione sotto Napoleone,
ne era stato pure il maestro alla
scuola militare. Napoleone si adirò con lui perché gli avevano riferito che
lasciava qualche volta il telescopio per frequentare il tavolo da gioco. Ma
Laplace si difese argutamente enunciandogli i risultati dei suoi studi su “una scienza che nata dall’osservazione dei
giochi d’azzardo si eleva fino agli argomenti più importanti della conoscenza
umana”.
Il capitolo XII scandaglia il “Confronto fra il caso e il destino” (con un sottotitolo: “Ipotesi di cause nel destino e di assenza di
cause nel caso”, Vi è riportato l’aneddoto su un barelliere che dà il via al confronto da tra caso e
destino. “Durante la guerra, negli Eparges, due barellieri trasportavano un
ferito su un pendio di argilla smettica (da follone). Quello più in basso
scivola. Appena in tempo per evitare una pallottola che, al posto della sua
testa, invece che a lui, va a fracassare il cranio del ferito”. Il barelliere,
un seminarista, vede in questo accadimento l’intervento della Provvidenza. E il
pensiero di Papini al riguardo? Ha affermato che “il caso è l’assenza di
leggi”, però qui rettifica attraverso un’aggiunta: “ci sono delle leggi del
caso” per poi definire “la legge del qualunque” e anche quella dei grandi numeri.
Infatti avverto i lettori di medie capacità che i tre capitoli antecedenti, il
IX, il X e l’XI, non mancheranno di attirare come una calamita chi dalla parole
crociate si è elevato al sudoku e soprattutto chi ama i numeri e le loro
combinazioni in mega-cifre o comunque in schemi matematici. Non so quanto ci
sia di Sageret o di Papini stesso in questa ricerca, però entrambi, chi ha
scritto e chi ha commentato, possono sembrare alle persone comuni degli
“stanca-cervelli”, ma non dubito che qualcuno ne rimarrà affascinato
cimentandosi lungo tali impervi ragionamenti matematici.
Degli aneddoti per “s’amuser” ne seleziono ancora uno
che riguarda proprio il Professore quando si racconta nel tentativo di
corteggiare una signora con in orrore il razionalismo. Le racconta un
godibilissimo flash di “scimmie dattilografe”. Leggete, non voglio togliervi il
gusto della sorpresa, ma è la risposta della signora che mette a perdere il
Prof.: “Se voi continuate ad occuparvi così del caso, temo molto di dovervi
raccomandare alle cure di mio marito” che poi lui, informandosi, scopre essere
un “alienista”.
Però questo libro, pur con la leggerezza del narrare (arte che
s’impara quando si sono macinati tanti e tanti volumi di pensatori e
storici e tante tante pagine di scrittura)
sa insegnare in modo straordinario e fa alzare gli occhi al cielo nel senso che
ci trasporta in epoche lontane, quindi nel tempo -dal passato al futuro - e in
uno spazio che è più che terrestre, uno spazio cosmico. E sono di nuovo i
numeri ad accompagnarci in questo viaggio: “virtù intrinseche dei numeri”, “il
pitagorismo antico”, “il dispari e il pari”, “il definito e l’indefinito”, “i
quattro primi numeri” (uno = il punto, due = la linea, 3 = la superficie, 4 =
il tetraedro che è il solido più semplice).
Ammirate questa costruzione a boccette che ne contiene in tutto 10 e ne ha 4 per ogni lato.
E il discorso si allarga ai numeri triangolari, cioè le
“Tetractus”: 36 è la grande Tetractus numero triangolare di otto, ma il numero
triangolare di 36 è 666 che nel capitolo XIII dell’Apocalisse indicava la
Bestia e ne diceva: “è il numero di un uomo”. Questo è un passaggio molto
interessante: il nome di ogni uomo ha nelle sue lettere un valore numerico per
se stesse. L’invenzione si deve ai Greci di Alessandria d’Egitto e cosa
inquietante è che la trascrizione in ebraico
antico del nome di Nerone Cesare corrisponde alla Bestia.
Ma dai numeri si passa all’indagine sul sistema eliocentrico
(ecco lo spazio) con un excursus affascinante nelle credenze delle antiche
civiltà. Riguardo, ad esempio, alle eclissi di luna che spaventavano gli uomini: presso gli Egiziani una scrofa
mirava alla luna e il sole veniva meno sotto la minaccia di Apopi un serpente
gigantesco. Il Cina le campagne del cielo erano rappresentate come percorse da
una selvaggia luna nera e per spaventare tali mostri celesti si faceva rumore e
si lanciavano giavellotti. Costume che era diffuso anche presso i Groelandesi e
in California.
L’astronomia di posizione fu importante specie in Caldea perché
gli dèi erano dèi-pianeti, e per loro c’erano differenze tra le eclissi, mentre
in Cina ogni novità del cielo era un “atto d’indignazione contro l’imperatore e
poteva produrre moti sediziosi…”
Queste premesse antiche tutte molto interessanti ci portano a
concetti meno antichi nel tempo, ai presagi, si sogni le profezie, i tarocchi,
la lettura dei fondi di caffè. Mi soffermo su una pagina dedicata a Rabelais
che racconta (capitolo XXV di Pantagruel)
come Panurgo si consigli con il signor Trippa che predice il futuro e questi
gli preannuncia che sarà ingannato e derubato dalla moglie. Glielo può far
comprendere con molti metodi. Quello detto Alectruomanzia consiste nel mettere un grano di
frumento su ciascuna lettera dell’alfabeto lasciandovi poi scorazzare
attraverso un gallo che mangerà solo i chicchi delle lettere del responso e
questo è C.O.Q.U.S.E.R.A. : cioè in francese la lingua di Rabelais: “sarai
cornuto”.
A proposito delle profezie e del desiderio umano di conoscere
l’avvenire, Papini ne ricorda varie: quelle di San Malachia sui Papi designati
proprio con le parole che indicano i loro stemmi, ma anche un oracolo che
avrebbe predetto la distruzione di Pompei causa “lapilli”, o l’emblematica
storia di Edipo ed afferma: “l’oracolo parlava utilmente? Allora non lo si
comprendeva, almeno non abbastanza in tempo per approfittare del suo avviso”.
Solo il senno di poi, cioè la Storia, mostra la validità delle
profezie, ma spesso dilata le date (le anticipa o posticipa attribuendole ad
avvenimenti simili). Riguardo alle
profezie quella di Orval annuncia l’avvento di Enrico V con perfetta chiarezza,
ma Papini che ci ha già parlato delle centurie di Nostradamus (capitolo
precedente, p. 74) commenta in generale: “sono state ispirate a qualche santo
personaggio tra il XII e XVI secolo, scritte su pergamena, poi dimenticate in
un monastero. Le si scopre da cinque a otto secoli più tardi, se ne prende
copia e si perde subito l’originale…”
Però proprio nell’avvicinarsi del luglio 1999 che avrebbe
dovuto essere l’anno della fine del mondo, ho conservato un articolo della
Stampa su “Società, cultura e spettacoli”
con titolo: Nostradamus, non rubarmi il
futuro, scritto da Guido Ceronetti. Ne stralcio alcuni passi come la
citazione di una poesia di Kavafis del 1915 che dice quanto la percezione delle cose imminenti sia propria dei sapienti e
come dobbiamo riconoscere che qualcuno ha visto molto, molto più lontano
inesplicabilmente. Continua Ceronetti: “se incontro un giovane guardiano di
maiali, di nome Peretti, dopo aver conversato con lui penso che è un giovane
intelligente, ma quando lo incontrò
Nostradamus gli si prosternò davanti chiamandolo Santità. Era nel Piceno e il
pastore era da poco entrato nell’ordine francescano. Molti anni dopo diventa
papa con il nome di Sisto V… Il veggente
vede al presente”.
“Se il Delfino di Francia sposando Maria Antonietta avesse
letto (e capito: non era molto sveglio) certe quartine delle Centurie avrebbe saputo che lui e la sua
futura regina erano già stati illo
tempore ghigliottinati). Avrebbero entrambi saputo di essere già morti e
scoperto che meno di duecentocinquanta anni prima un medico in Provenza –
Nostradamus – aveva visto tutto, proprio tutto della grande Rivoluzione che li
avrebbe travolti. … Una grande emozione fu per me riconoscere Maria Antonietta
nella quartina Cent. I, 86, condotta al patibolo: vi è fotografata, vista come
un flash nel presente dell’Essere orfano
di futuro, in un giorno (era il 16 ottobre 1793) senza principio né fine,
pura voragine atemporale: però quell’istante di rivelazione manca di tragico,
un’emozione molto più profonda la dà il disegno tracciato frettolosamente da
David al passaggio della carretta, all’uscita dalla Conciergerie, una traccia
luttuosa e febbrile, la fierezza di una vera regina, martire che tace”.
“Nostradamus – continua Ceronetti – non ci squaderna che il finito
dell’infinito, non ci fa sentire che più pesanti le catene del finito, mentre
il latrato dell’infinito oltre le sbarre si fa più forte. Così credo di aver
spiegato come la parola veggente, che accetto soffocantemente veridica,
svogliandomi da ogni volontà o fede di futuro, non scalfisca minimamente la mia
libertà d’interpretare e rivivere – di iscrivere nel tragico – tutto quanto
quell’indecente fermento di fatti: se voglio guarirmi dal mondo, dal finito,
posso ben farlo senza tormentarmi col destino e la fine delle nazioni”.
Ceronetti grande scrittore!
e questo articolo è stato da me conservato in un libretto <<Le Profezie>> di Renzo
Baschera, edito nel 1974 nei pocket Longanesi, con sottotitolo “cosa accadrà
nei prossimi vent’anni”.
Le profezie che vi sono raccolte (Malachia, Ragno Nero,
Nostradamus, Rasputin…) sono tutte fosche come in chiusura quella delle tre
piante velenose: la soffocante (ti tolgo l’aria – forse il covid), la delirante
(un mondo impazzito dopo tale esperienza), infine la mendicante (tutti un po’
più poveri anche per la morte di tanti anziani che sono sapienza di vita). A
consolarci ce n’è una che vede gli uomini sulla terra nel 7000 dopo Cristo.
Concludo con parole di Papini: “il destino che è alla base del
determinismo assoluto non ci arreca che dell’indeterminazione. Esso si nasconde
fra il soprannaturale, esso ci sfugge”.
E’ come un atto di umiltà verso l’ignoto, l’infinito cosmico.
Riporto dalla nota di quell’articolo su La Stampa:
“Nostradamus(1503-1566) nome latinizzato di Michel de
Nostradamus, fu medico e astrologo. Ebreo convertito, studiò filosofia ad
Avignone e medicina a Montpellier. Viaggiò per l’Europa. Ne 1547 sposò una
ricca vedova e poté dedicarsi all’arte profetica. Nelle <<Centurie>> vengono predetti
gli avvenimenti principali fino al 3797”.
Alessandro Ballerini
BOBBIO
c’era
una volta
<<La
Contrada dei Matti>>
<<ra contrè di matt>>
Alessandro Ballerini (Sandro per gli Amici) è stato assessore
al Bilancio, Commercio, Farmacie, Cultura della città, a Piacenza per un
ventina d’anni, ha anche scritto 30
libri, di cui questo dedicato a Bobbio dove è nato appare intriso di nostalgia
e anche di poesia dono di pochi, e pure cinque divertenti commedie dialettali.
Il titolo “ra contrè di matt” deriva dal fatto che nel ‘600 la
nobile famiglia dei Baccigalupi che aveva
un figlio mentalmente disturbato regalò il suo palazzo sito nella contrada all’Ospedale di Bobbio e
vi venivano ospitate persone con problemi psichici. Questi però andando in giro
disturbavano i residenti che protestarono e il palazzo rimase all’Ospedale ma
non più per quel fine. Però mio genero, uomo intelligente, dice: “Senza un
pizzico di follia il mondo resterebbe ingabbiato nella pura razionalità senza
progredire”.
Riporto la riflessione della quarta di copertina affinché
risulti più facilmente leggibile:
“Nella vita quando
ridi,
con te ride tutto
il mondo.
Quando
piangi:
piangi da solo.”
Anche la pagina iniziale di questa recente opera porta
riflessioni dell’Autore:
“Da
buon bobbiese nella vita ho sempre cercato di: 'amare,
studiare, lavorare, rispettare e spesso tra me e me di pregare.”
Conclude la pagina con un po’ di tristezza ed amarezza come già
era nella prima riflessione:
“L'amante più fedele al mondo è la speranza, ti tradisce ogni giorno
ma vivi con Lei tutta la
vita.”
Nell’introduzione l'Autore precisa che scriverà dei ragazzi
della “Contrada dei matti" dagli anni '40 fino alla fine del '900.
Il libro si apre con una poesia, ma anche madrigale intenso o
canto d’amore alla sua città, scritto nel '91:
“Bobbio dolce Signora…
distesa lungo il
monte,
ti specchi quando è
sera
nelle acque sotto il Ponte.
“Ti bacia alla
mattina il sole
che sorge a
Parcellara
con l’aria che odora
di viole
e ti accarezza come
bellezza rara.
… .... ...
“Dice un proverbio: cuor
contento il ciel l'aiuta
Ma a Bobbio si è
allegri…sai perché…?
Basta una mangiata
e una bevuta
e tutto il
resto vien da sé.
Basta una
moglie bella che le brilli il cuore
che ti vuol bene e non
ti sa mentire
una serenata che ti
sussurra amore,
dopo di
che…si può pur morire.”
Ha citato “una moglie bella" e la sua Anna lo è davvero
come potete vedere da questa foto dove
ascoltano insieme la contralto lirico Ernesta Scabini, di gran fama.
Alla pagina seguente c’è la dialettale <<Bobbi l’è bell>>
le cui parole sono accompagnate dalla briosa musica di una mazurca
composta da Sandro.
Quindi un'altra poesia che ricorda un film famoso di John Ford
del 1941, anch'essa accompagnata da musica in quanto Sandro è stato bravo
compositore e musicista (ha vinto tre festival
della canzone popolare a Piacenza nell’87, 88, 90 ed ha sempre intrattenuto il pubblico con grande successo:
Come era
verde la mia valle
“Una
valle che si perde all’infinito
nei miei sogni
di bambino
quelle corse fatta
quasi a perdifiato
lungo i viali di un
giardino
Lei
correva, con i suoi capelli al vento
era bella da morire
inseguendo pian piano mi accorgevo
che mi
innamoravo
... .... ...
Ecco il grano pronto
per la mietitura
biondo
come i suoi capelli
… .... ...
Chi sa
mai che fine ha fatto quella bimba
con i
suoi capelli al vento
sono un uomo soddisfatto nella vita
ma con
un rimpianto
Come era
bella la mia valle
come era bella lei
come era
verde primavera
e
intanto si fa sera.
L’Autore la definisce una canzone beguine riportandoci alla
memoria la canzone beguine di Jimmy Fontana.
Ma ciò che colpisce di più in questo libro con tante foto di
persone e monumenti storici ed eventi sportivi
per riaccendere la memoria è l'attenzione dell’Autore agli umili come ai
potenti.
La prima foto è di Black, storico eremita bobbiese che capitò
anche a me d’incontrare spesso nella strada verso la Brada e che raccoglieva in
grandi sacchi questi fiori simili ad una ragnatela secca di cui ignoro il nome
e che ho visto splendidi quest’anno lungo la spiaggia del Trebbia alla Berlina.
Per darvi un’idea inserisco le foto:
Il libro ripercorre per flash la storia di Bobbio e ricorda i
Malaspina, famiglia legata al Castello, con una foto attuale, il loro stemma ed
evidentemente appassionato di stemmi e bandiere cui ha dedicato un libro, in
questo mette gli stemmi storici delle antiche famiglie nobili della Contrada:
Il libro degli stemmi e bandiere:
Tra i personaggi noti ed illustri che sono passati da Bobbio
dal libro viene riportata la foto
dell’indimenticabile principessa triste dagli occhi verdi: Soraya.
Privilegiandola, ho dato
precedenza alla bellezza sui personaggi citati a fine libro:
tra cui Einstein che avrebbe formulato la “Teoria
della relatività" proprio sotto il cielo limpido e stellato di Bobbio,
ma prima di lui anche Leonardo da Vinci venne a Bobbio soggiornando al castello
bobbiese e di qui passarono altri illustri ricordati dall’Autore. Un capitolo è
dedicato a Lorenzo Ballerini medico personale di Re Vittorio Emanuela I, un
altro a Gerberto d’Aurillac abate successore di San Colombano che divenne Papa
Sivestro II dal 1999 al 1004.
Sandro non ne parla pur se ne ha messo una foto antica proprio
in quarta di copertina ma è a San Colombano, evangelizzatore d’Europa, che
Bobbio deve la sua fortuna culturale nei secoli. Quest’estate una signora
straniera, che vive a Bobbio da anni, in occasione dell’attribuzione della
palma d’oro alla carriera al regista bobbiese Marco Bellocchio, mi ha detto:
“Senza Bellocchio Bobbio sarebbe niente” e ho dovuto replicarle ricordando
appunto il Santo.
Bellocchio è stato caro amico d’infanzia di Sandro quindi per
lui quasi uno di famiglia e ne inserisce una suggestiva foto con il figlio
Piergiorgio.
Tra le foto più belle (e sono davvero tante!) quella del
fratello maggiore Gianni di cui ricorda l’altruismo e ne ripercorre momenti di
vita: il corso Allievi Ufficiali a Lecce dove diventò Ufficiale dei
Bersaglieri, la partecipazione ai soccorsi dopo il terremoto di Irpinia con
3mila morti e 10mila feriti e quando si gettò nel “lagone” sotto il Ponte
Vecchio per salvare un giovane che stava annegando, Nel 1970 Sandro e Gianni
fondarono con successo il campeggio internazionale “Camping Ponte Gobbo”, detto
così poiché nacque lì sotto per essere poi spostato nella proprietà ex-Renati che proprio Gianni acquistò nei pressi
delle Terme di San Martino.
Non bisogna dimenticare che i fratelli Ballerini sono stati due
sportivi e in particolare Sandro
praticò con allori lo sport agonistico del pugilato.
Ora metto una foto del fratello Gianni nello splendore della
sua giovinezza. E’ morto quattro mesi dopo la moglie Marisa senza cui per lui
la vita aveva perso interesse.
Tra i personaggi famosi che hanno onorato Bobbio vengono
ricordati Biagio Caccia (1740), illustre letterato e filosofo, l’attore Guido
de Monticelli (1886) e l’amico regista Marco Bellocchio (1939), nati in tre
secoli diversi. Ma vengono pure ricordati anche artisti come il pittore Andrea
Arcaini dai quadri pieni di colore e di sole, William Xerra di cui Giorgio Pipitone, ritrattista e scrittore
piacentino, ha disegnato a china il “dolmen” all’inizio di stradone Farnese.
Il Caccia scrisse che
Napoleone quando arrivò a Piacenza diede ordine di imparare e comprendere la
lingua francese e chi non l’avesse fatto sarebbe stato sottoposto a 20
scudisciate. Con intelligenza sapeva quanto sia unificante una lingua comune.
E dei tre citati,Caccia, De Ponticelli, Bellocchio,
l’Autore scrive che “con merito, istinto, capacità e passione
hanno raggiunto risultati importanti a vantaggio anche della nostra città”.
Ecco il dolmen, e una
foto di Sandro sportivo e organizzatore di sport del febbraio 1982 a
Peissenberg (Germania).
La foto in Germania presenta da sinistra l’allenatore Paolo
Caviglia, al centro Sandro che con il fisarmonicista Pino Bellocchio sostengono
scherzosamente il cantante tenore Carlo Castelli.
Nel libro tanti i flashes storici come quando il colonnello
Daniele Bertacchi, medico militare a Pinerolo, scrive sulla situazione del cimitero
al tempo del colera epidemia che colpì la provincia di Bobbio nel 1854, 1857 e 1867 provocando centinaia
di morti. Nelle frazioni (ad es.: San Salvatore) venivano sotterrati a tre o
quattro per volta, senza neppur esser portati in Chiesa cosi come imponeva
l’ordinanza del Sindaco. A questo proposito viene notato come le disposizioni
date alla gente erano del tutto analoghe a quelle dell’attuale pandemia di
Covid.
Voglio chiudere questo mio lungo commento con un ricordo
personale suscitato dal ricordo dell’Esattoria delle II.DD
di Bobbio, Coli, Cortebrugnatella, Ottone e Zerba dove lavoravano Ninni dal
Bon, Enzo Bellagamba, Gino Nicora.
Mio padre, avendo vinto a 21 anni un concorso era venuto da
Trieste a Bobbio, per lavorare presso
l’Ufficio finanziario e lì mia madre lo vedeva entrare ogni giorno
affacciandosi dalla casa dei miei nonni in Contrada dei Matti.
Ora forse Ninni era stata dipendente nell’ufficio di mio padre
però ricordo che una volta mentre ero seduta in piazza San Francesco osservai
una donnina minuta che mi passeggiava di fronte, avanti e indietro. La guardai
con attenzione e prese il coraggio di avvicinarmi. Si presentò e volle darmi
una foto che aveva portato con sé di quando mia madre era maestra ed insegnava alla colonia estiva e lei era tra i bimbi
che vi partecipavano. Allego la foto e non mancai da allora di farmi viva con
Ninni quando ritornavo a Bobbio e da lei vorrei mutuare una consuetudine
intelligente: a mezzogiorno andava a desinare al Piacentino di Bobbio perché
ormai era molto anziana e non aveva più voglia di prepararsi da mangiare.
Ecco la foto della colonia estiva dove Ninni mi disse: “sono la
bimba che mangia con il cucchiaio e la mia mamma è quella più a destra al
tavolo delle tre maestre e poi la foto di mamma Ida alla festa dell’uva a
Bobbio. Entrambe le foto sono del 1934 e a quella festa dell’uva mio padre
comprò un intero cestino che la mamma tra le ragazze in costume era designata a
venderli: così iniziò la loro storia.
E ricordo anche una signora che una volta mi si presentò nel
negozio del pane di Mandelli dicendomi: “Sono stata una ragazza madre e la sua
mamma era l'unica maestra che alla colonia si prendeva in braccio il mio bimbo
e lo sbaciucchiava e gli diceva: “quanto sei bello!”
E ricordo un’altra mamma, quella dell’Autore, che nel libro
viene ricordata quando in tempo di guerra, a Marsaglia, erano stati radunati in
fila dai tedeschi per essere deportati, ma lei si sedette a terra e protestò
dicendo che prima di muoversi doveva dar da mangiare ai suoi bimbi (Gianni e
Sandro) e il tedesco la lasciò stare gridandole: “piagnucolona”. Pochi giorni
dopo i tedeschi se ne andarono.
In questo libro intriso di nostalgia e che rende omaggio a
tanti bobbiesi, (tra cui il martire
partigiano Fancesco Daveri ma anche Gigi Cerchi che scalò impervie montagne dal
Kilimangiaro alla cordillera Blanca delle Ande, il dottor Paolo Pescalli che
nel 1988 andò per una Missione in India nel lebbrosario di Santa Madre Teresa
di Calcutta, lo storico Giorgio Fiori, i nobili Malchiodi a Bobbio da più di
quattro secoli, e per primo l'ingegnere amico Aldo Galleti ma anche il Balena,
così soprannominato un mitico istruttore di nuoto di tanti bobbiesi), non
mancano come “oasi” spassose alcuni capitoli. Mentre nevicava “come Dio la
manda” una volta Sandro si recò
con GianPino Grassi, Vanni Casartelli,
Gianni Reposi e Gaetano Masini a Telecchio
e con il Sindaco Franco Maggi che aveva dato l’allarme per soccorrere una donna anziana: giaceva in
un campo perché “si sarebbe rotta la spina dorsale”. La caricano su una slitta
modificandola con lamiere poste al di sotto perché non affondi nella neve alta
e dopo dieci ore riescono a raggiungere
l’ospedale. Il giorno dopo Sandro chiede al dottor Colombetti come sta
l’anziana e questi gli risponde che Ida sta bene e l’atrofia alla schiena e
alle gambe le è congenita dall’infanzia.
Altro episodio divertente quando Sandro va a fare il quarto a
carte con gli unici tre detenuti del carcere di Bobbio. Dopo una prima giocata causale,
sollecitatagli da chi li aveva in custodia, per lo stesso motivo torna spesso
da loro fino alla fine della loro detenzione. Uno di loro aveva anche
addomesticato un merlo: Quando finalmente uscirono i tre mantennero un contegno
irreprensibile: forse si erano sentiti compresi e non condannati.
Un bel libro,
romantico e nostalgico,
bravo Sandro!
(e alla fine del libro tutte le copertine degli altri che ha
scritto, un caleidoscopio di colori e con titoli attraenti).
Ps.: Preciso che in questo libro siamo citati anche io e mio
fratello Ferruccio in quanto la nostra nonna materna abitava in Contrada dei
Matti. Ho detto a mio figlio più piccolo: “Sai che sono citata in un libro?” e
lui: “Come s’intitola?" E quando
gli ho risposto: “Mamma faresti bene a non farlo sapere tanto in giro…"
Giglio Reduzzi
Papa Giovanni non si tocca
(primavera 2021)
Meriti e demeriti di Papa Bergoglio
(agosto 2021)
L’amico Giglio, che ha scritto più di 60 interessanti saggi (su
Google l’elenco completo), ha sempre avuto due passioni: la Politica e la
Religione. I suoi due ultimi saggi sono su questo secondo tema, ma poiché la
nostra politica negli ultimi anni è apparsa deludente a più d’uno e poiché
siamo un popolo di anziani è forse meglio alzare lo sguardo al cielo sperando
che almeno la fede ci salvi.
Bisogna tener presente che Giglio ha girato il mondo in lungo e
in largo e quindi ha conosciuto molte realtà ed il suo approccio ai fatti nostri
non è provinciale ma spazia a più largo raggio.
In <<Papa Giovanni non si tocca>> Giglio precisa da
subito che parlerà non tanto del Papa di cui hanno scritto in tanti quanto
dell’ambito familiare in cui si è formato e che lui ha conosciuto bene pur se ha
incontrato spesso anche il Papa.
<<La verità è che il papa “buono” (definizione infelice,
perché sembra che gli altri fossero cattivi) non era il fiore cresciuto per
caso tra i rovi, ma il frutto fortemente alimentato dal contesto
famigliare>>, così scrive. E saltando subito alla conclusione del libro
che spiega anche il titolo, afferma: <<Rimango dell’Idea che nessuna
delle degenerazioni che alcuni teologi vedono nel periodo postconciliare sia
imputabile a Papa Roncalli e soprattutto che sia arrivata ai fedeli prima che
all'orizzonte apparisse la figura di papa Francesco>>.
L'aver scritto Papa con la maiuscola per Roncalli e con la
minuscola per Francesco già la dice lunga.
Ma bisogna risalire al perché Giglio si attribuisca una così
intima conoscenza della famiglia Roncalli e lo fa nel capitolo Operazione "sfollamento” quando
cioè in tempo di guerra la sua famiglia (allora era un bimbo di 9 anni) lasciò
l'industrializzato paese di Ponte San Pietro per rifugiarsi temporaneamente in
quello agricolo di Sotto Il Monte presso la famiglia dei nonni materni. E
grazie all’amicizia dei suoi con la famiglia Roncalli ebbe perfino il
privilegio di poter coltivare nel loro possedimento un suo personale orticello.
Annota pure che allora bastava poco per farlo felice: una fetta di pane bianco
in sostituzione di quello “giallo” fatto con la meno introvabile farina di mais
e le gustosissime pesche che poteva rinvenire nei campi dei Roncalli. Di
recente avendo rivisto la casa dei nonni si stupisce che potesse contenerli tutti
dato che erano in undici ed ha voluto ricostruire quel ricordo della
cucina-soggiorno in un quadro dipinto da lui.
L’amicizia dei Roncalli con la sua famiglia era soprattutto con
sua nonna materna, Maria, detta “ostera” per il fatto di possedere un’osteria.
In questo libro di Reduzzi tanta, tanta nostalgia per quel
mondo contadino con il ricordo dell’uccellanda che non c’è più alla Colombera
(così era chiamata la casa dei Roncalli), il ricordo dei filari di vite
strappati, e la stalla dove si recitava il rosario e non si cantava come in
quella del bel film di Ermanno Olmi L’Albero
degli zoccoli : un mondo perduto.
Dei fratelli Roncalli che quando li conobbe vivevano tutti alla
Colombera, anche se un po’ stretti come precisa, ci dà un ricordo ben
dettagliato. Zaverio che non ebbe figli e con la moglie Maria adottarono una
bimba, Giovanni sposato con Caterina (l’unico a non fare il contadino in quanto
curava i rapporti con il consorzio agrario ed autorità varie) e tra i loro
figli uno si fece sacerdote, Alfredo celibe che viveva con il fratello
Giovanni, Giuseppe il più piccolo sposato con Ida che ebbe dieci figli. Due
figli di uno di questi figli che si chiamava
Privato cioè Marco ed Emanuela sono stati tra i migliori biografi del
Papa.
“Monsignore” aveva anche quattro sorelle ma è stata Enrica,
figlia di Giovanni, la sua nipote prediletta in quanto teneva i rapporti con lo
zio ed è morta il 10 settembre del 2012
quando aveva appena compiuto 92 anni. Sosteneva di esser più brava con l'ago
che con la penna bravissima infatti a cucire come a ricamare, E sapeva
costruire splendidi presepi di cui aveva riordinato tutte le foto in un album.
Aveva dovuto far da madrina alla sorellina più piccola Letizia da cui però la
dividevano vent’anni e la mamma le aveva raccomandato di recarsi poi all'altare
della Madonna per un gesto d’affidamento dato che la piccola sembrava un po’
gracile. Enrica raccontò a Giglio che pregò la Madonna di “accogliere subito
presso di sé la sorellina che tanto non prometteva nulla di buono". La
Madonna non ascoltò la sua supplica e Letizia si sta godendo la sua pensione di
una vita da insegnante.
In un accorato capitolo Giù
le mani da Roncalli Giglio ci ricorda come cattolici che si occupano di
religione a vari livelli, dai teologi di professione come Enrico Maria Radaelli
e Giovanni Cavalcoli ai divulgatori come Antonio Socci e Aldo Maria Valli a
semplici cattolici, siano tutti concordi
nell’osservare una decadenza, una crisi della Chiesa attuale. Però è
opinione di Giglio (confortato in questo anche da uno scrittore di successo
come Vittorio Messori) che sia facile imputare la decadenza a papa Francesco
(politica pro immigrazione, vicenda del Pachamama, documento di Abu Dabi)
mentre sia più complicato difendere il Concilio Vaticano II (CVII). Però dice
Giglio: <<Mi ci provo>>.
Una della accuse al CVII è stata di aver emesso solo dei
decreti a carattere pastorale senza aver fatto nulla sul piano dottrinale. Come
osservò il card. Giacomo Biffi il CVII non disse nulla, perché non c’era niente
da dire e lo scrive così: <<L’intenzione dichiarata era quella di mettere
a tem lo studio dei modi migliori e dei mezzi più efficaci di raggiungere il
cuore dell’uomo, senza per questo sminuire la positiva considerazione per il
tradizionale magistero della Chiesa>>.
Osserva Giglio: <<Si è sempre detto che per essere valido
un Concilio debba essere convocato da un Papa ed avere carattere di
universalità. Però – continua - proprio i Concili di Nicea (325) e di
Costantinopoli (381)non avevano nessuno di questi requisiti, eppure ebbero
carattere fondativo della religione cristiana. Il primo introdusse il dogma
trinitario, il secondo decretò la natura divina di Cristo e quindi l'eresia
dell'arianesimo. E i due che indissero questi due Concili, Teodosio e
Costantino furono due autentici criminali>>.
A questo punto sobbalzo e vado a documentarmi. In effetti
Teodosio chiamato Teodosio I il Grande dagli scrittori cristiani e dalle Chiese
orientali nel 390 ordinò una
rappresaglia contro la popolazione di Tessalonica (=Salonicco) che si era
ribellata impiccando il magister militum Buterico
reo di non aver permesso i giochi annuali.
Teodosio pochi giorni dopo organizzò una gara di bighe nel
grande circo della città e fatti chiudere gli accessi vi fece trucidare 7000
persone. Quando la notizia giunse a Milano, il vescovo Ambrogio gli scrisse una
lettera sdegnata inducendolo a pentirsi e a chieder perdono.
Quanto a Costantino, che sancì il cammino di una religione che
da sempre difende la famiglia, in realtà fece uccidere il suocero, poi
Liciniano figlio della sorella Costanza
e il figlio primogenito Crispo per una presunta relazione con la propria moglie
Fausta e quindi la stessa Fausta quando si rese conto dell’innocenza del
figlio.
Torno al tema importante che Giglio ha messo in campo: non è
stato il CVII a far sì che i fedeli abbiano avvertito una deviazione dalla
tradizione o cambio di paradigma, ma questo è accaduto con l’elezione di Papa
Francesco nel 2013.
I fedeli hanno iniziato a disertare le chiese per
l’infatuazione del Papa per l'Islam e le sue eterodosse posizioni in materia di
flussi migratori, relativismo religioso, ecologia…. Questo scrive Giglio e
riporta parole del card. Biffi:
<<Occorre distinguere con ogni cura l'evento conciliare dal clima
ecclesiale che ne è seguito. Il Concilio non s’identifica affatto con il
postconcilio. Il primo va accolto con totale cordialità da chi vuol
continuare a dirsi cattolico, il secondo esige di essere analizzato e giudicato
alla luce del primo e anzi alla luce di tutta la Rivelazione divina come è
custodita indefettibilmente dalla Chiesa>>.
Però faccio un passo indietro per ricordare anche l’amicizia di
Giglio con Loris Capovilla che è stato segretario personale di Roncalli, prima
quando questi era patriarca di Venezia e poi quando divenne Papa. Ricordo anche
un articolo su La Gazzetta di Parma a
firma di Giorgio Torelli del 7 febbraio 2005: “Così don Loris sfidò i tedeschi”. Insomma Loris è stato un
segretario del Papa intrepido come lo è stato Giovanni Paolo II che ci lasciò
questo insegnamento proprio il giorno in cui si affacciò per la prima volta
alla finestra in Piazza San Pietro dopo esser stato eletto: <<Non abbiate
paura>>.
In questo libro anche un significativo richiamo al fatto che
gli ultimi tre papi italiani sono nati: Giovanni XXIII in provincia di
Bergamo, Paolo VI in provincia di
Brescia, Giovanni Paolo I in provincia
di Belluno, e la residenza del maggior
scrittore cattolico italiano Vittorio Messori è a Desenzano del Garda. Inoltre
la maggior concentrazione di santuari mariani, più di cento, sono nella diocesi
di Bergamo (e Giglio li elenca in Appendice): quindi il nostro cattolicesimo
tradizionale si concentra al nord, nel lombardo-veneto.
Meriti e demeriti di Papa Francesco
Passo così dopo questa sua testimonianza a favore di Papa Giovanni
a questo libro che ne è il seguito ideale e dove specifica più a fondo la sue
remore all’attuale pontificato.
Si serve della “lista”stilata dal giornalista Andrea Cionci e
postata sul suo blog l’8 agosto 2021 che prende spunto dal recente libro di Andrea
Riccardi La Chiesa brucia. Denuncia
10 errori di Francesco. Giglio afferma di servirsi di Cionci perché aveva
pensato esattamente le stesse cose e non vuole essere accusato di plagio.
1) Mentre
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI citavano il “diritto a non emigrare”,
Bergoglio è dominato da “un’ossessiva frenesia accoglientista” che ha
incoraggiato i viaggi della speranza. La dottrina dell’ordo amoris di Sant’Agostino (amare se stessi, gli altri e le cose
secondo la dignità ontologica che è propria di ciascuno, cioè non farsi
dominare più dal mito della conoscenza come è stato per i greci antichi, ma
dall’amore cristiano) è stata cancellata. (Per riempire l’Italia i musulmani senza alcun programma di
convertirli, così precisa Giglio)
2) Bergoglio
si proclama a favore delle unioni civili, ma quello contronatura non è forse il
secondo dei peccati che gridano vendetta al cielo? (Però ha anche precisato che il matrimonio è
solo tra uomo e donna, aggiungo io)
3) Ha
intronizzato in San Pietro l’idolo pagano Pachamama, mentre fin dal ‘500 la
Vergine di Guadalupe ha soppiantato i culti non cattolici dell’America Latina.
(Mi sembra cosa
insignificante solo in ossequio ad una globalizzazione sempre più in atto, un voler attirare
altri proseliti anche con questo mezzo)
4) Ha
minimizzato il culto mariano ma nelle litanie lauretane ha fatto diventare la
Madonna “solacium migrantium” (= sollievo di migranti) i quali sono per la
maggior parte islamici e non recitano litanie mariane.
Anzi un
terzo dei reati commessi in Italia sono di stranieri i quali però sono appena
il 12% di chi risiede sul
territorio nazionale. (E questo dà da pensare: sono una percentuale così alta di
delinquenza in una percentuale
piccola di persone, i
migranti, presenti sul nostro territorio, come a dire: molti i delinquenti)
5) Bergoglio
scrive 350 pagine di enciclica Amoris
Laetitia per chiarire la faccenda della comunione ai divorziati, ma quando
quattro cardinali gli espongono i loro Dubia non risponde.
6) Fa
la preghiera comune con i capi delle altre religioni ma se un cattolico sa per
certo che gli altri non adorano il vero Dio, ha senso? (Però comunque lo si chiami o Dio o Allah è sempre un’entità al di sopra
dell’uomo e di cui l’uomo sente il bisogno, osservo io).
7) Emana
un motu
proprio, Traditiones custodes che però abolisce la messa in latino,
come se la tradizione dal Concilio Vaticano II (1962) contasse più di una
tradizione vecchia di 2000 anni. (Però la Messa in latino per i più era di difficile comprensione e
quindi facilitava il distrarsi, il pensare ad altro).
8) Nella
preghiera eucaristica ha inserito “manda o Signore la rugiada del tuo spirito a
santificare questi doni” e non più “manda il tuo Spirito”. Ma la rugiada è un
prodotto dello Spirito e sembra strizzare l’occhio all’anticristianissima Massoneria
per cui la rugiada è importante elementare esoterico. (Ma Francesco lo sa? E’ davvero così
“massonico"?)
Conclusione:
“distruzione dell’identità cattolica, annichilimento della sua fede
bimillenaria in un pseudo-
luteranesimo filomassonico, neo-ariano, esoterico, ecologista,
gay-friendly, neomalthusiano asservito ai poteri
forti”.
Conclusione
ancor più personale di Reduzzi: <<Forse Benedetto XVI non ha mai
abdicato, è il vero papa e papa
Ratzinger si tiene stretto il
munus petrino assistito dallo Spirito Santo mentre
Bergoglio è l’antipapa>>.
Dice
ancora: “In molti affermano tutto ciò ma in Vaticano nessuno ascolta:
<<never complain, never explain
(=mai
lamentarsi, mai spiegare). E chi tace,
acconsente>>.
Reduzzi
che tiene un blog ed è attento alle risposte o agli interventi di chi
legge precisa che
un illustre personaggio
(di cui per privacy non ci dice il
nome) gli ha elencato i meriti di Bergoglio:
1)
tra cui l’accordo del Vaticano con la Cina.
(Giglio invece pensa come parecchi altri che sia una
capitolazione
senza precedenti storici e così la pensa anche il vecchio card. Zen che
di Cina se ne intende).
2)
la dichiarazione di Abu Dhabi (e Reduzzi ha già
criticato questa equivalenza di tutte le religioni a dispetto del
credo
cristiano da sempre predicato dalla Chiesa).
Questo
illustre personaggio enuclea in particolare questi meriti di Bergoglio:
1)
instillare fiducia nella misericordia divina
2)
promuovere il sentimento di fratellanza universale
3)
predicare la dottrina sociale della Chiesa
4)
aver avviato il dialogo ecumenico
5)
aver completato le riforme conciliari.
Tra le critiche più autorevoli a Bergoglio si è
levata quella del card. Robert Sarah proprio riguardo il Motu Proprio e il rito
della Messa. Già aveva criticato l’accoglienza indiscriminata ai migranti
africani, tema a lui familiare dato che è stato a lungo arcivescovo di Conakry
(Guinea) ed è stato anche Prefetto per “Il culto divino e la disciplina dei
Sacramenti”.
Ma Bergoglio che non gli ha mai dato retta lo ha
anche sollevato dal suo prestigioso incarico il giorno stesso del compimento
dei suoi 75 anni.
Il
card. Robert Sarah
Ora una cosa è indiscussa riguardo il comportamento
di Bergoglio: “non ama le critiche, o non risponde o lo fa da persona piccata
come quando ha detto che quando stava male c’era già chi organizzava il
Conclave”.
Secondo me meglio se con signorilità fosse stato
zitto e pur se il mio giudizio è solo quello di una cattolica che oltre tutto
(per ignoranza personale) trova molto defatigante e difficile addentrarsi in
queste questioni particolari di rito o altro.
Tra l'altro considero Bergoglio "una vecchia
zia" nel senso che le parole dette da lui avrebbero potuto dirle vecchie
zie che ho conosciuto: nessun carisma, nessuna scossa di elevazione come invece
quando Papa Woytjla si affacciò in piazza San Pietro e ci disse: <<Non abbiate paura!>>
La critica del card. Robert Sarah si può riassumere
in queste parole: <<Ciò che è sacro per la Chiesa è la catena
ininterrotta che lega con certezza a Gesù>>. E ricorda parole di
Benedetto XVI: <<Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma
nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti consideravano sacro, rimane
sacro e grande anche per noi, e non può essere all’improvviso del tutto
proibito o addirittura considerato dannoso>>.
E ancora: <<In un momento in cui alcuni
teologi cercano di riaprire le guerre di liturgia contrapponendo il messale
rivisto dal Concilio di Trento a quello in uso dal 1970 è urgente ricordarlo.
Se la Chiesa on è in grado di conservare la pacifica continuità del suo legame
con Cristo non potrà offrire al mondo il sacro che unisce
le anime (parole di Goethe).
Mi sembra importante inserire qui dal libro l’inizio del Motu Proprio:
Sempre dal Motu Proprio: <<Se è vero che il
cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della Tradizione, che trae
origine dagli Apostoli e progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello
spirito Santo (DV8), di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la
tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per
discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del
Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri. I quali hanno
esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro
nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso spirito
Santo che guida la Chiesa>>
E ancora: <<Prendo la ferma decisione di
abrogare tutte le norme, le istruzioni, le concessioni e le consuetudini
precedenti al presente Motu Proprio, e di ritenere i libri liturgici promulgati
dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del
Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito
Romano.
Mi conforta in questa decisione il fatto che, dopo
il Concilio di Trento, anche san Pio V abrogò tutti i riti che non potessero
vantare una comprovata antichità, stabilendo per la Chiesa latina un unico
Missale Romanum... principale espressione della lex orandi del Rito Romano.
Non per contraddire la dignità e grandezza di quel
Rito i Vescovi riuniti in concilio ecumenico hanno chiesto che fosse riformato;
il loro intento era che “i fedeli non assistessero come estranei o muti
spettatori al mistero di fede, ma con una comprensione piena dei riti e delle
preghiere, partecipassero all’azione sacra consapevolmente, piamente e
attivamente>>.
Ora il discorso di Francesco è molto chiaro e da
vero gesuita colto, parola che però riporta alla memoria ciò che spesso si è
detto dei Gesuiti…
Se ne trovano di
dicerie spassose consultando il cellulare su Aleteia come questa:
<<Un
giorno chiedono a un Gesuita cosa fosse il diluvio universale. E lui: “Acqua
passata">> (insomma un Gesuita
non si
scompone mai)
o quest’altra:
<<Un ragazzo va dal suo parroco gesuita per chiedergli in prestito
l’automobile. E lui che non ama
i capelloni
gli risponde: “Te la do se ti tagli i capelli". Il ragazzo: "Ma anche
Cristo aveva i capelli lunghi" e il
Gesuita:
"Infatti andava a piedi">> (molto pragmatico quel parroco
gesuita)
Storicamente i
Gesuiti, fondati da Ignazio de Loyola esercitavano la loro influenza
dall’Europa all'America fino
all’Estremo
Oriente.
Quindi,
invidiati e temuti, furono spesso attaccati come “fanatici seppur devoti al
Papa, come consiglieri dei
potenti, come
manipolatori di fanciulli". Per capire riporto questa frase dello scrittore Panzini ( 1863-1939 in IV
-
292) per spiegare che gesuita o gesuitico era come sinonimo di ipocrita: <<La
Compagnia ebbe necessità di
mettere
insieme queste due cose in antagonismo
tra loro, cioè gli insegnamenti di Cristo fondati sulla rinuncia alle cose
mondane e le cose
mondane>>.
Anzi prima
della massoneria, il complottismo di un tempo vedeva la mano dei Gesuiti dietro
epidemie, carestie
e morti
sospette.
A ciascuno la propria personale
interpretazione sul gesuita Bergoglio.
Metto ora le
mie recensioni a due libri editi da Stefano Termanini che considero un amico in
quanto è stato
anche mio
Editore e che mi ha fatto omaggio di questi due testi di Umberto
Serra e di Bruno Musso
Umberto Serra
Ricordi di guerra
Umberto Serra, calsse 1894, si forma in un contesto
liberal-risorgimentale.
Di famiglia monarchica canavesana fin da ragazzo ha
contatti con letterati ed intellettuali dell’epoca.
Nel 1915 a vent’anni – come migliaia di studenti –
è pro interventismo.
Per ricordare come in Italia si arrivò a questa
posizione storico-politica bisogna rifarsi alla Triplice Alleanza del 1882 che
ebbe l’ultimo rinnovo nel 1912 e che era un patto difensivo tra Germania e
Austria cui aderì anche l’Italia per cui se fosse stata attaccata dalla Francia
gli altri due Stati l’avrebbero difesa.
Ma nel 1915 il clima storico era cambiato e proprio
gli studenti guardavano con grande interesse sia alla Francia (non più
considerata un nemico) e all’Inghilterra.
Il 28 giugno 1914 nei Balcani avviene l’attentato di
Serajevo e un giovane serbo-bosniaco uccide l’arciduca Francesco Ferdinando,
erede al trono d’Austria e Ungheria, e sua moglie Sofia durante una visita
ufficiale in quella città bosniaca. Il 28 luglio l’Austria dichiara guerra alla
Serbia e l’Italia si dichiara neutrale, però nella primavera 1915 ci sono primi
segni premonitori di un intervento anche dell’Italia.
Serra ci descrive quel clima: <<Gli studenti
erano tutti interventisti …operai e contadini per senso di dovere accettano e
partono>>. Ed ecco la frase, illuminata di speranze e di sogni:
<<Il 24 maggio 1915 varcammo i confini>>, cui ne segue un’altra:
<<Ecco il racconto dei miei anni di guerra>>.
Umberto quel 24 maggio vede dalla sua finestra un
manifesto verde con l’ordine di mobilitazione generale e gli viene in mente un
quadro di Giovanni Fattori la Battaglia di Custoza, terribile disfatta del 24
giugno 1848 durante la prima guerra d’indipendenza e vinta dagli austriaci. Da
subito si formò un corteo “punteggiato dai vivaci colori dei berretti goliardici
che sfilò per le vie principali di Napoli diretto al Distretto Militare.
Per lo spirito liberal-risorgimentale era un vulnus
indimenticabile ed era arrivata l’ora del riscatto. Serra in quel momento ebbe
due certezze: “sarebbe andato in guerra e sarebbe stato artigliere”, però
doveva completare gli esami universitari per cui era stata posta la data limite
del 6 giugno. Il bando di arruolamento
prevedeva corsi di allievi ufficiali e gli studenti d’ingegneria sarebbero
andati all’Accademia Militare di Torino.
Il primo di giugno ebbe
in tasca il diploma del biennio di ingegneria, il tre tornò al Distretto e
ricevette l’ordine di raggiungere Nola. Appesavi arrivò, visitò la città e per
la bella cultura aristocratica di quel tempo ogni volta che raggiunse una nuova
città non mancò di visitarla per apprezzarne monumenti e bellezze artistiche. A
Mola si sofferma davanti al monumento di Giordano Bruno che ne era stato il più
illustre figlio e gli viene spontaneo un acuto commento: “Rischioso esser
filosofi e ancor più rischioso precorrere i tempi”.
La sera del 5 dorme sulla paglia in caserma a fianco di
Benedetto, suo carissimo amico di
sempre. Inizia così la sua vita di caserma e riceve il fucile, una gioia, quasi
un onore, ma di cui gli rimane anche questo ricordo: “come pesava…” Vengono
addestrati ad andare all’assalto gridando: Savoia! E
impara da andare a cavallo cosa che dapprima gli riesce un po’ difficile.
Finalmente arrivò l’ordine di partire per Torino e allora passò da casa a
salutare sua madre e fu l’ultima volta che la vide viva, anzi a pochi mesi di
distanza morì anche suo padre.
Nella parte finale del libro vengono riportati i
versi-riflessioni di un volontario al fronte che ci dice: <<Avemmo o
abbiamo una madre, una sposa…>> Pensa così mentre guarda il proiettile
partito dal pezzo puntato e sembra anche smemorarsi (per non pensare) a quel suo “frullo nell’aria”. Questo però
vuol dire “forse molte vite di meno, forse molti pianti di più”.
Sempre i versi di questo volontario ci danno il senso delle
attese e delle disillusioni per esser andati in guerra: <<Fino a
vent’anni si sogna/ed avemmo:/ il freddo ed il sole cocente,/ il fango delle
estreme trincee,/ la scheggia della balza di roccia…/ Ma fummo felici!/
Scherzammo con la morte irridente,/nel gioco non sempre vincemmo/ e le scarpe rimasero al sole… (riflessione
drammatica per quelle scarpe che restano a testimoniare la morte).
Ma fummo felici,/perché poveri di tutto/ ma ricchi di fede/
tutto sapemmo donare di noi/ senza riserve, senza bilanci>>.
E’ splendido questo commento del donarsi con assoluta gratuità
per la causa della Patria.
Proseguendo nel suo racconto Serra ci parla dell’arrivo a
Torino e subito va a visitare i monumenti della città, poco più avanti commenta
così quel momento di formazione: <<La disciplina militare forma il
carattere>>.
Per il servizio di prima nomina raggiunge l’Aquila degli
Abruzzi per presentarsi al deposito del 18esimo Reggimento
d’Artiglieria da Campagna. A Sulmona deve separarsi dall’amico Benedetto che
invece doveva raggiungere a Chieti il deposito del 15esimo
Artiglieria. Commenta con tristezza:<<Lo avrei incontrato di nuovo solo
dopo Vittorio Veneto, mutilato di guerra e più volte decorato al valore
militare>>.
All’Aquila quando vi giunse nevicava ed erano ancora ben
visibili le tracce del terremoto della Marsica. Fui destinato alla 2da “Batteria-Distruzione”.
Dell’Aquila afferma di conservare un bellissimo ricordo: è un prezioso gioiello
che il Gran Sasso vicino e la Maiella lontana circondano, proteggono. Verso la
fine di maggio, l’ordine di cambiare fronte e recarsi sul Brenta: la marcia
notturna lungo il canale del Brenta per i paesini di Sant’Eusebio, Campese,
Oliero e Valstagna è uno dei suoi ricordi più belli: come scoprire magiche
valli.
E di nuovo un’acuta riflessione dell’Autore che ammette come la
guerra sia la rinunzia ad ogni sentimento, però ricorda alcune ore di
bombardamento in trincea a Monte Zomo, confortandosi con la lettura di una
raccolta di versi dello Zanella trovata in una casa bmbardata di Valstagna.
Intanto procede la sua carriera militare: è diventato tenente e
viene addestrato come Bombardiere, un corso che doveva durare 40 giorni. A
quella scuola ognuno doveva produrre le sue capacità e così Serra compila la Guida
del Bombardiere, destinata alle batterie di linea.
Il già citato Monte Zomo si prende l’onore di un capitolo di
questo libro: era ormai dicembre e durante un bombardamento da un colpo viene
ferito non gravemente al capo mentre purtroppo muore un servente e per di più
si accorgono di esser circondati sulla vetta di quel monte. Allora in silenzio
smontano il pezzo superstite, si ripartiscono quel carico, tolgono gli inneschi
alle bombe e si buttano verso valle tra forre e burroni. Riescono a sfuggire
alle pattuglie nemiche e infine sbucano sulla rotabile di Ronchi.
Vengono poi destinati a Campo Rossignol e arriva un nuovo
commento acuto di Serra: <<In guerra ci sono due categorie di uomini:
quelli che la fanno e quelli che la fanno fare>>. Il suo Reggimento che
faceva parte dell’8va Armata comandata dal generale Caviglia ha con
questa il compito di sfondare le forze nemiche sul Piave e giungere alla città
che fu poi chiamata Vittorio Veneto. Per dare un’idea del conflitto in numeri
che prima di tutto sono uomini, su tutto il fronte erano schierate un milione
di combattenti e 9000 bocche da fuoco dallo Stelvio al mare, notevoli anche le
forze nemiche: 7000 bocche da fuoco e oltre un milione di combattenti.
IL 24 ottobre l’inizio delle operazioni con un Piave in piena
che ostacolava il gittamento dei ponti, ma lo sfondamento riuscì.
Infine il 4 novembre 2018 arrivò la notizia dell’armistizio con
l’ordine di proseguire la marcia verso nord con ipotetica meta la Baviera. L’11
novembre arrivò anche la notizia dell’armistizio con la Germania: la guerra con
gli Imperi centrali era finita!
Finisce così questa avvincente avventura di guerra e non è
stato alcun peso seguirla passo passo per la sobria arte del narrare che è
propria di Umberto Serra.
Il libro si deve al nipote Stefano Arezzi che ha raccolto
questa memoria del nonno e che scrive: << Con occhi curiosi di bambino
rivedo mio nonno nell’atto di piegare la bandiera per riporla nell’armadio
dello studio, custodita in un panno verde, uguale a quello che già avvolgeva la
sciabola. E il nonno mormorava sempre:<<Quanti bravi soldati! Quanti
ragazzi, quanti bravi giovani>>, poi mi attirava a sé abbracciandomi: un
gesto d’affetto come a gettare un ponte che dalle ceneri fumanti di un campo di
battaglia si proiettasse verso il futuro delle nuove generazioni>>.
Perché è stato il nipote Stefano a dover raccogliere questa
storia e per il dovere della memoria farne finalmente un libro?
Perché Umberto Serra ci aveva provato per tre volte senza mai
accontentarsene: tre stesure dattiloscritte. La prima in ordine di tempo (1941,
quasi alla vigilia di un’altra guerra) fu riassorbita dalla seconda che è
questa ora pubblicata, considerando che restituisca un punto di vista diverso e
non autonomo ma soltanto più meditato e maturo della riflessione dell’Autore. I
tre manoscritti precedenti all’opera pubblicata constano il primo di carte 30,
ils econdo di carte 72, il terzo denominato anche “Ricordare per vivere” di
carte 52. Allegati ai manoscritti piantine topografiche e disegni dell’Autore
che da tenente diventò poi colonnello ed è stato uno dei tanti ragazzi che
dovettero allora interrompere gli studi per servire in armi la Patria anche se
già allora Serra aveva conseguito il diploma del biennio d’Ingegneria.
Poiché anche in tempo di guerra tracciò disegni-mappe dei luoghi di combattimento di cui 10
riportati a fine libro, ne inserisco qui solo due:
La val
Brenta
Monte
Ortigara e altre cime
Senso Espresso
Coffee.Style.Emotions
A cura di Barbara Foglia, Edgardo
Ferrero, Margherita Pogliani, MarziaCamarda
Comunicato stampa: