Pagina in costruzione
1) Alberto Fazolo- Nemo, In Donbass non si passa - La resistenza
antifascista alle porte d’Europa-,
(Redstarpress, 2022 terza ristampa)
2) Fabio Bozzo, Ucraina in fiamme, 2016 (Mattioli 1885 Srl)
3)Claudio Papini, Lo Scetticismo (rivisitazione di Giuseppe Rensi, ma
non solo - De Ferrari Editore,2022)
4) Jimmie Moglia, PUTIN MACRON BIDEN, https://youtu.be/TA1RZwJBb_U7)
3)
Franco Cardini e
Fabio Mini, Ucraina La guerra e a storia, Il Fatto Quotidiano, 2022. Prefazione
di Marco
Travaglio.
5) Nicolai Lilin, PUTIN, l’ultimo zar da San Pietroburgo
all’Ucraina, (Piemme 2022)
6)Paolo Rumiz, La linea dei mirtilli – reportage, (BEE Bottega
Errante Edizioni, 2022)
7)Claudio Visentin, Luci sul mare – Viaggio
tra i fari della Scozia sino alle isole Orcadi e Shetland (Ediciclo 2022)
∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫∫
IN DONBASS NON SI PASSA UCRAINA IN FIAMME
Alberto Fazolo – Nemo
(p.250) Fabio Bozzo (p.76, formato tascabile)
Ho voluto mettere a fianco
questi due libri sull’Ucraina perché nella ricostruzione storica ma anche nelle
conclusioni convergono, pur se quello di Alberto Fazolo
nasce sul campo in quanto combatté in Donbass dal 2015 al ‘17, mentre quello di
Fabio Bozzo è di uno storico, collaboratore
ed attuale direttore di “Storia
Verità" (Rivista trimestrale www.storiaverità.org).
Bozzo conclude le sue pagine con queste parole: “non credo che il conflitto
nell'Est del Paese slavo arriverà ad allagarsi, ma una ferita aperta nel cuore del Vecchio Continente è una ferita aperta nell’animo di tutte le
persone".
Da Alberto
Fazolo. (Stralci di storia recente)
Ucraina significa “terra di
confine” e ripercorro un po' di storia recente, seppur del secolo scorso: “nel
1924 l'Unione Sovietica ottenne il riconoscimento della comunità internazionale
(i primi due Paesi a stringere relazioni diplomatiche furono Regno Unito e
Italia), perciò i suoi confini vennero riconosciuti e rispettati, tranne
piccole e marginali eccezioni. Con il Patto Molotov-Ribbentrov, nel 1939 i
territori contesi tra Ucraina e Polonia ricaddero nella sfera d’influenza
dell’Unione Sovietica e vi rimasero fino all'invasione nazi-fascista
dell’Unione Sovietica”.
“Il grosso della seconda
guerra mondiale fu combattuto tra Germania e Unione Sovietica. La guerra
causò circa 68milioni di morti, di cui
tra i 23 e i 27 milioni furono sovietici (cioè più di un terzo), i morti
americani circa 413mila, gli inglesi ancora meno (un numero tra le 56 e le 65
volte inferiore).
“Gli Alleati iniziarono ad attaccare la Germania solo dopo l’inizio
della sua capitolazione, dopo la vittoria sovietica a Stalingrado”.
“Stalin propose agli Alleati
di unirsi per sconfiggere il nazismo, ma la proposta che avrebbe abbreviato la
guerra e salvato milioni di vite non fu accettata.
“Il 17 gennaio l’Armata
Rossa liberò Varsavia, il Terzo Reich capitolò il 9 maggio 1945.
Prima della capitolazione
dei nazisti le truppe ucraine inquadrate nelle SS e altri collaborazionisti
avevano già avviato trattative con il Vaticano per la resa e non esser
consegnati all’Unione Sovietica. Vennero inviati prima in Italia a Rimini e poi
venne loro offerta la possibilità di emigrare: i più in Canada ma anche in USA
a formare le comunità che oggi sono tra i maggior sostenitori dei battaglioni
punitivi ucraini, eredi diretti delle SS.
Nota 1: A dispetto del nome l’Operazione
Odessa, cioè il programma per garantire la fuga dei criminali nazisti
non riguarda la città sul Mar Nero, ma è un acronimo per Organisation Der Ehermaligen
SS-Amgehorigen (organizzazione degli ex membri delle SS che permise ai nazisti
di fuggire attraverso la Svizzera con ponti aerei e in Italia via mare).
Nota 2: Nel 1954 il presidente sovietico Nikita Kruschev,
che di fatto era ucraino, assegnò la penisola di Crimea all’Ucraina, senza
alcuna considerazione della volontà degli abitanti, perché fino ad allora la
Crimea faceva parte della Russia.
Ad agosto del 1991
in Ucraina la nomenklatura del Partito Comunista da grande sostenitore
dell’Urss si trasformò in uno dei suoi peggiori avversari e l’Ucraina divenne
una marionetta nelle mani dell’Occidente e con l’indipendenza venne anche
cambiata la bandiera che diventò con la parte superiore blu e l’inferiore
gialla. Prima era simile alla sovietica, rossa con una falce e martello gialli
in alto a sinistra e in basso una striscia blu. Nel febbraio del 1994 l’Ucraina
fece il primo passo per l’integrazione nella NATO, nel 1999 anno di elezioni
presidenziali si rafforzò il blocco affaristico criminale che stava depredando
l’Ucraina. L’oligarca del gas e del petrolio Julija Tymosenko venne nominata
vice primo ministro. Nel gennaio 2001 vennero per lei i primi guai giudiziari,
accusata di aver fatto contrabbando di gas con la tanto odiata Russia.
(Julija
Tymoshenko: in politica il fascino aiuta come è stato in Argentina per Evita
Perόn,
foto tratta dal libro Ucraina in fiamme)
Alcuni fatti nodali
Stralci dalla complicata storia dell’Ucraina: la Rivolta Arancione, Maidan (parola che
significa piazza ed indica piazza Indipendenza la principale di Kiev), il massacro di Odessa.
1)21 novembre 2004, prima rivoluzione ucraina, o rivoluzione colorata che
prese il nome di Rivoluzione Arancione, nata
come movimento di protesta dopo le elezioni presidenziali con vincitore
Juscenko. Venne rovesciato l’esito del voto, ma il Governo durò poco, vittima
della voracità dei suoi corrotti componenti
e le nuove elezioni del 26 dicembre confermarono il risultato: Juscenko
vincitore.
I Paesi in cui si sono fatte o tentate rivoluzioni
colorate sono: Georgia, Cuba, Libia, Iraq, Kirghizistan, Libano, Siria,
Bielorussia, Moldavia, Iran, Cina, Macedonia e altri con organizzazioni al
soldo degli USA (questo secondo quanto si legge nel libro di Fazolo).
2)Maidan: rivoluzione
ucraina del 2014. Per questi fatti bisogna partire dalla genesi, appunto dal 2004 prima
citato quando ci fu l’operazione di regime change, la Rivoluzione Arancione.
Quindi di nuovo nel 2013 i
paesi occidentali decisero per un altro regime change dell’Ucraina. Si fomentò
una protesta caratterizzata da parole d’ordine ben spendibili in Occidente (libertà, democrazia)con una connotazione
ultranazionalistica e la presenza di violenti gruppi nazisti. I cecchini di Kiev
sparavano indistintamente ai
manifestanti e ai poliziotti, saliva la tensione e i media chiedevano di
normalizzare la situazione. Buona parte dei
gruppi violenti erano stranieri di militanza nazifascista. Il modello Maidan
venne replicato nel 2017 in Venezuela,
dove era già fallito un modello di rivoluzione colorata.
“Gli Euromaidan usavano la pratica
di assassinare gli anti-maidan e poi (grazie ad una stampa internazionale
compiacente raccontavano che questi erano loro membri uccisi dalla forze di polizia”.
Pensiero mio: “di fronte ad un popolo che
sa così ben mistificare anche su Bucha vanno fatte indagini molto attente e
imparziali e non asservite a media compiacenti”.
L’8 febbraio 2014
mobilitazioni antifasciste si tennero in tutto il Paese e si concentrarono
intorno alle statue di Lenin sia per proporre i valori del passato sovietico
sia per difendere i monumenti dalla furia iconoclasta dei manifestanti di
Euromaidan (Euro significa Europa). Il 21 febbraio le forze di maggioranza e di
opposizione si riunirono a Kiev e sembrava che l’accordo fosse raggiunto ma un
movimento marginale e nazista, Pravy Sector,
riuscì a far abbattere 18 statue di Lenin e altri monumenti di epoca sovietica.
Il 22 febbraio il Parlamento
tradendo
l’accordo siglato il giorno prima deliberò la destituzione e la
richiesta d’arresto del Presidente della Repubblica che era Yanukovich.
Riflessione mia: Ho sentito le considerazioni
di Bruno Vespa dopo la sua intervista a Zelensky e dice che questi farà una
brutta fine. E mi sembra in linea con quanto sopra e già accaduto
Nota 3: le 5500 statue di Lenin furono buttate giù in tre
anni: durante l’Indipendenza nel
1991; durante la Rivoluzione Arancione nel
2004, durante le proteste di Euromaidan dal 2013 al 2015.
Però nell’Est e in Crimea la gente disconosce i
giovani di piazza Maidan e li chiana fascisti. A Kar nel nord-est del Paese
legato alla Russia, almeno tremila cittadini scesero in piazza per proteggere
la statua di Lenin.
Ma frase assai vera del libro: “quando si abbatte un monumento
significa che si rifiuta un pezzo di storia”.
3) il massacro di
Odessa. La città di Odessa venne fondata nel 1794 dall’Impero
russo nel territorio perso dall’Impero ottomano nel 1792. Nel 1819 divenne
porto franco. Nel 1905 fu teatro della rivolta operaia sostenuta
dall’equipaggio della corazzata Potemkin e dalla rivista leninista Iskra. La
repressione operata dalla cavalleria cosacca causò centinaia di morti e fece
seguito un violentissimo pogrom contro la locale comunità ebraica.
Con un salto ai tempi delle rivoluzioni recenti
dell’Ucraina nel 2014 con lo scoppio delle proteste filorusse, Odessa fu teatro
di sanguinosi scontri tra i sostenitori di Euromaidan e quelli filorussi.
Il 2 maggio 2014 ben 42 manifestanti filorussi morirono nell’incendio
della Casa dei sindacati dopo uno scambio di bottiglie incendiarie con gli
avversari.
La prassi in quel momento in cui l’Esercito ucraino
aveva lanciato una dura offensiva contro le regioni del Donbass era aspettare
gruppi di lavoratori isolati. Ma quel 2 maggio i nazisti assaltarono anche il
presidio antistante la Casa dei Sindacati: un gruppo di antifascisti che
chiedevano riforme. Quando questi capirono di non riuscire a respingere gli
attaccanti si rifugiarono dentro il sindacato ma i nazisti lanciarono bombe
incendiarie sull’edificio. Coloro che riuscivano a scappare venivano linciati
dalla folla inferocita. Infine alcuni si rifugiarono sul tetto dell’edificio
attendendo l’intervento della polizia e finalmente l’intervento dei pompieri
spense le fiamme. Poi gli antifascisti vennero fatti passare in un “corridoio”
di persone armate di spranghe che presero a colpirli (sembrano le antiche
forche caudine romane).
Come nasce il coinvolgimento di Fazolo.
Dopo il massacro di Odessa e la feroce repressione
di rivolte a Karkiv e Mariupol schiacciate sotto i cingoli dei carri armati
inviati dal Governo, la popolazione di Alchevsk (uno dei maggiori centri
industriali del bacino carbonifero del Donec specializzata in industria
metallurgica e chimica maturò la convinzione del non farsi ammazzare in quel
modo.
Un normale cittadino Aleksey
Borisovich Mozgovoy fece una proposta politica: “lottare contro
il fascismo e il liberismo” e su queste basi venne fondata il 14 maggio 2014
la Brigata Prizrak
di cui divenne il comandante fino al 23 maggio 2015 quando fu ucciso.
In russo Prizrak significa “fantasma”,
nome scelto perché spesso i media ucraini diedero la falsa notizia
dell’annientamento di questa Brigata che invece continuava a combattere.
E a proposito di nomi l’autore di questo libro,
interessante e molto esaustivo, si firma come Nemo, nome
di battaglia da lui scelto in sintonia con fantasma, quando entra a far parte
di InterUnit che affianca la Brigata Prizrak.
Sceglie Nemo in onore all’Odissea di Omero quando
Ulisse dice al ciclope Polifemo di chiamarsi così, cioè “nessuno”. E anche per
il fascino di Capitan Nemo di Ventimila leghe sotto i mari di Jules
Verne. Già da questa scelta Fazolo ci appare come un idealista ma anche forse
plagiato da ricordi dai banchi di scuola.
Penso al nostro Garibaldi che visse in America dal 1835 al ’48, combattendo per
l’indipendenza in vari Paesi e mi sorge il dubbio che i nostri testi
scolastici, parlandoci di eroi come
lui, forse influenzino troppo giovani anime candide assetate di azione. Non
solo, per stare nella scelta dei nomi, il titolo del libro deriva dal “no
pasaran” che era come un motto per i combattenti filorussi in Donbass.
I volontari di InterUnit venivano da Cile,
Finlandia, Francia, Germania, India, Israele,
Italia, Polonia, Spagna e USA. Dice al riguardo: “se in futuro dovessi ripetere
un’esperienza di lotta internazionalista, ai volontari richiederei la
conoscenza di una lingua comune” (questo per potersi capire e questa fu una
difficoltà tra persone di lingue diverse). Il maggior numero di volontari
venne dalla Spagna (di qui il concetto ribadito da Fazolo di una sintonia
con la guerra civile spagnola).
Quanto ad InterUnit
Fazolo ci dice che tutti erano armati di Kalashnikov, che si addestravano al
poligono, e chiese con suoi compagni di essere assegnato al settore di Kirovsk
perché vicino al fronte ucraino. Con i suoi compagni andò nel settore più
avanzato, cioè nel villaggio di Donetsky, in cui nel periodo sovietico c’erano
15mila persone che, dopo la chiusura della miniera dove lavoravano, si
ridussero a seimila e che con la guerra
sfollarono tanto che ormai allora erano rimasti 350 abitanti. Dopo pochi mesi
con la stabilizzazione della linea del fronte molti ritornarono e gli abitanti
divennero tremila. “La popolazione del Donbass –spiega Fazolo- ha grande cura
nella realizzazione delle tombe dei propri cari per cui risparmia tutta una
vita, ma allora strade e campi vicini erano disseminate di mine (su cui una
persona può camminare tranquillamente, ma che esplodono sotto il peso di un
carro funebre), perciò noi ad ogni funerale di civili andavamo a rimuovere le
mine”. Ci parla della vita in trincea: acqua solo nelle taniche, spesso non
potabile e che comunque veniva bevuta, pagliericci per dormire e topi che
spesso li svegliavano graffiando i volti con le zampe. Insomma un film
dell’horror e per di più da parte degli ucraini l’usanza di “taglie” cioè
ricompense a chi faceva fuori o prendeva i rei di reati come “omicidio, stupro”
o “spie nemiche”. Venivano esposti veri e propri manifesti per i ricercati.
Fazolo ci ridà una frase
di Tolstoy: “la guerra è un omicidio
organizzato” e riguardo i tribunali di guerra pensa che quello dell’Aja
sia un “mezzo politico”. Infine riguardo le disciplina ci avverte che loro si
comportavano da militanti e non da militari, in quanto questi obbediscono anche
ad ordini sbagliati mentre una “disciplina critica” è necessario strumento di
tutela.
Un problema
spinoso. Che fine hanno fatto tutte le armi mandate in Ucraina?
Il 22 marzo 2017 nei pressi
di Karkiv saltò in aria un grosso deposito di armi: l'esperienza insegna che
quando salta in aria un arsenale e senza vittime, spesso si tratta di una messa
in scena per coprire il furto di materiale militare. La pratica comune tra i
militari ucraini è di sottrarre armi per venderle al mercato nero. Si stima che
1 milione di armi si trovino ora nella mani delle Milizie Popolari del Donbass
che le hanno conquistate sul campo, ma mancano all’appello circa quattro
milioni di armi. La mafia commercia anche in armi pesanti, che viaggiano
esclusivamente via container attraverso il porto di Odessa. La mafia ucraina vende armi alle mafie
europee e agli integralisti islamici.
Altro strumento
bellico: la guerra informatica.
S'intende uno scontro
fatto di attacchi informatici finalizzati o al sabotaggio di sistemi o
all'acquisizione d'informazioni.
Le potenze mondiali come sono intervenute in questi
avvenimenti?
In Italia vivono e lavorano più di 230mila ucraini.
Nel loro Paese vigevano costumi come l’appropriazione
di parte del gas che veniva dalla Russia, non solo con la pulizia etnica contro
i polacchi operata dai collaborazionisti nazisti vennero uccise tra le 76mila e
le 106mila persone (cosa che appare dimenticata nel nuovo assetto geopolitica
che si prepara dato che i polacchi hanno accolto con il cuore i profughi
ucraini attuali), però sussistono
magagne endemiche come la fortissima emigrazione (vedi appunto i tanti
lavoratori ucraini anche in Italia), la diffusione dell’HIV a livello degli
stati africani, l’abuso di vodka, distillata in casa a chiamata samagon.
“Il Donbass – secondo Fazolo – è centro di una
guerra a bassa intensità (né guerra né pace), e come tutta l’Ucraina tenta di
resistere alla barbarie fascista, operata dal Governo, questo dal 2014: continuano
gli omicidi politici, i casi di desaparecidos, le minoranze sono oggetto di
intimidazioni, i giornalisti vivono
sotto ricatto e molti sono stati uccisi, ci sono limitazioni all’uso di
internet e rastrellamenti per portare i giovani all’ufficio arruolamento dell’Esercito”.
Tra le potenze nell’odierna guerra è chiaro che gli
USA non vogliono la pace, non solo la Russia è da tempo impegnata in una
disputa territoriale con il Giappone per il controllo di isole situate
nell’Oceano Pacifico, dove è noto un programma americano per installarvi
postazioni missilistiche.
Il decano dei cronisti di guerra, Fulvio Grimaldi,
nelle attuali trasmissioni televisive, ha spesso parlato del potere invasivo
dell’America che ha contribuito alla destabilizzazione di tanti Paesi, al punto
che la Pax Americana si basa
sull’oppressione della maggioranza del mondo.
C’è chi in Tv ricorda che noi italiani dobbiamo la
nostra ricostruzione al piano Marshall, ma questo non vuol dire essere pedine
del gioco politico USA se no ritorniamo alla “barzelletta del beneficato e del
benefattore”, per cui il primo ad un certo punto stanco di esser sempre
richiamato al dovere di riconoscenza gettò il secondo giù da un ponte.
Conclusione dal libro di Fabio
Bozzo Ucraina in Fiamme dato che né Russia né Europa vogliono la terza guerra
mondiale: “Il Signore
del Cremlino non può permettersi una guerra economica con il Blocco Atlantico e
probabilmente si accontenterà dell’accettazione del dato di fatto in Crimea.
Tale accordo potrebbe anche esser suggellato da una conferenza internazionale,
sotto una cappa di ipocrisia degna di Yalta: tutti i contraenti brinderanno
alla ritrovata pace, Putin vedrà cessare le sanzioni e tornerà con la Crimea
assicurata”.
Penso però che il disegno di Putin sia più ampio e
non si fermerà fino al completamento, anche perché sa di essere anziano e mi
pare abbia detto: “se non lo faccio io, chi lo farà?” Anche gli autocrati hanno
il problema della successione.
LO SCETTICISMO
Claudio Papini
Lo
scetticismo, una virtù che potrebbe salvare da tanti guai, guerra inclusa.
(Questa
è una mia riflessione, ma se prima di avventurarsi in una guerra chi può
facesse esercizio di scetticismo, forse non la intraprenderebbe al di là di
ogni prospettiva di ordine economico o politico. Questa mia riflessione non ha nulla a che vedere con il libro del
Prof. Papini che ha scritto in base ai suoi interessi che abbracciano campi diversi
dalla Storia e Filosofia a Scienze ed Arte
(Qui
sotto la cover del libro e di fianco il timbro di tipo araldico-gentilizio che
il Professore ha fatto dipingere da un amico, raffinato saluto sulle buste dei
suoi messaggi).
Le trouble du
philosophe Caeruleum; aurum; gilvum;
argentum
- Le repos du philosophe – Instantem fatum
exequens instansque
-Manichini in riva a mare – Adversos casus secondosque regere
Giorgio De Chirico, 1926
Con la
consueta chiarezza espositiva e profondità d’indagine il professor Claudio
Papini ci dà un’introduzione di ben 35 pagine a suoi antichi scritti, che qui
riprende, su Giuseppe Rensi. Questi nell'Apologia dello Scetticismo (1926) cita
quattro versi di Mefistofele che incontra Faust, personaggio inventato da
Johann Wolfgang von Goethe, nelle vesti di un clericus vagans per sottolineare
riguardo il motivo scettico e quello
pessimistico l’essere due lati della stessa medaglia. Sono l’incomprensibilità
e l’irrazionalità che lo scetticismo trova nel mondo e che è un disvalore di
questo ed essi si fondono perfettamente insieme.
Come nasce
il libro?
Papini ci
spiega d’aver avuto nella biblioteca di famiglia una vecchia copia dell’opera
di Rensi Lo scetticismo e voleva
avviarne la ristampa con adeguato commento, però l’Introduzione che aveva preparato fu pubblicata solo nel 2010
insieme ad altri scritti che erano d’introduzione a loro volta di autori
diversi. Così con questa rivisitazione adempie infine a quello che sentiva come
un input cioè un desiderio, una volontà di adempiere quasi ad un dovere di
studioso. E a questo punto il passo che Papini riporta, uno scritto di Adriano Tilgher a Guglielmo Ferrero del
gennaio 1923 diventa spiegazione del perché. Tilgher prevede un’accelerazione
della coscienza capitalistica, mentre lui stesso è come fosse sulla riva di una
lago che non riesce a risolversi ad attraversare. Quel lago infatti gli sembra
un oceano in tempesta che si va facendo sempre più alta senza riva dove
ripararsi o zattera su cui salire per salvezza.
Quel
sentimento che in Tilgher seguì la prima guerra mondiale sembra risorgere alto
anche per noi dopo più di settanta anni di pace. Nella sua lunga Introduzione
Papini ci precisa con la sua “unghiata” da maestro l’importanza dello
scetticismo: “l’antico che ha come padri nobili i grandi esponenti della
Sofistica e quello dell’età moderna (che a quello antico s’ispira e si
richiama, accogliendo sincreticamente tratti dello stoicismo e
dell’epicureismo) hanno arricchito la sensibilità contemporanea e sono stati
ripresi da pensatori originali e di rilievo: Pirandello, Hume, Schopenauer ed
altri. Di Rensi ci dà puntuale spiegazione di vita ed opere. Nacque a
Villafranca di Verona nel 1871, morì a Genova nel 1941 (quindi nella tempesta
della guerra), si laureò a Roma in Giurisprudenza e poi in Filosofia. E questo
me lo rende caro in quanto sono le stesse lauree che conseguì mio zio
triestino, il professore Luigi Bressani). Da giovane è stato militante
socialista e partecipò alle lotte del nascente movimento operaio organizzato,
fu costretto a rifugiarsi in Svizzera ne 1898 e rientrò in Italia dieci anni
dopo e divenne redattore-capo della rivista “Coenobium” che era stata fondata l’anno prima, nel 1911 al tempo
della guerra di Libia ebbe inizio il suo distacco dall’ideologia socialista.
L’esperienza di “Coenobium” è stata
per lui la più profonda facendogli capire che le molte verità (filosofiche,
religiose, politiche…) sono tutte vere e nello stesso tempo tutte false. La
concezione scettica del Rensi è risultata efficace come vessillo e come
strumento di lotta politica quando si è presentata come dichiarazione di
agnosticismo e di ateismo in anni difficili della tormentata vita nazionale. La
questione religiosa che nel periodo italiano che accompagna e segue la prima
guerra mondiale a causa dei difficili rapporti tra lo Stato risorgimentale e la
Chiesa cattolica riscontra in ambito laico una fiammata della politica intesa
come religione civile.
Per dare
qualche altra notizia sulla vita di Rensi, egli fu tra i firmatari del
Manifesto degli intellettuali antifascisti (scritto da Benedetto Croce su
invito di Giovanni Amendola nel maggio del 1925); come docente universitario si
piegò a prestare giuramento nel 1931 ma
nel suo insegnamento operò una forma di opposizione strisciante al fascismo che
lo mise in conflitto con l’autorità politica e accademica. Nel 1934 venne
allontanato dalla cattedra come già era accaduto all’esiguo numero di docenti
che pochi anni prima non avevano accettato di giurare fedeltà al regime.
In quarta di
copertina sono riportati alcuni pensieri di Rensi che ne denotano la sua
coscienza di intellettuale e il suo orgoglio. Definisce il suo pensiero
“rigorosamente unitario” e dice che la leggenda dei suoi molteplici cambiamenti
è stata fatta circolare da taluni cui dà ombra il fatto che i suoi libri siano
più letti dei loro. Spiega il segreto per essere letti: “Andare intrepidamente
sino in fondo al proprio pensiero e di enunciare senza veli tutto ciò il
proprio pensiero ci rivela e quasi senza o contro nostra voglia ci costringe a
vedere”.
Il libro di
Papini si addentra nella definizione di Vero, Buono e Giusto, Bello.
“Il Vero è
ciò che è riconosciuto come tale dalla ragione, ciò perché è necessario",
ma questa enunciazione programmatica, si disfa quasi subito in quanto non
esiste nessun criterio di demarcazione tra vero/falso. E cos’è la vera ragione?
Quando gli esseri umani sono tutti diversamente pensanti… Non solo se consideriamo
il Bene, questo per gli Stoici consiste nell’atteggiamento saggio, razionale
del nostro io e nell’appagarsi di tale atteggiamento del nostro io sta la
felicità. Ma solo un paio di pagine più avanti Papini ci spiazza citando Lutero
che per i credenti della sua religione ei eleva alla grandezza della santità e
che disse: “Quei che non ama il vin, le
donne, il canto,/ Mena da stolto il viver tutto quanto”. Osserva Papini:
“Abbiamo qui una ragione che designa come stoltezza quella completa
sottoposizione degli affetti che è ragione per gli Stoici”.
In breve il
Professore, forte di una vasta cultura che spazia in diversi campi e dotato di
uno spirito che sembra essersi corroborato nella soluzione di quiz della
Settimana Enigmistica, i più difficili certo, sembra divertirsi nel condurci attraverso i suoi stringenti
ragionamenti e ci lascia attoniti, anche un po’ sconfortati per la nostra
insipienza, per non aver saputo pensare abbastanza e soprattutto il non aver
pensato bene, saggiamente.
A nostra
consolazione a fine libro la storia dello scetticismo dall’antichità
all’età moderna e contemporanea con un ultimo capitolo dedicato all’affermarsi
dello scetticismo in Italia (dal Rinascimento alla Controriforma e dalla
Controriforma ai giorni nostri). Con nostra consolazione incontriamo
queste parole: “La storia umana è caso e ripetizione, caso il suo svolgimento,
le invenzioni, la determinazione di grandezza nelle figure storiche o nelle
produzioni d'arte. Non esiste né un Bello (ed è stato molto interessante a questo
riguardo l’introduzione del concetto di piacere che sembra assecondare il detto
proverbiale: “non è bello ciò che è bello ma ciò che piace”) né un Bene in sé; ma il giudizio dell’uno e
dell’altro sorge in modo qua e là diverso per l’opera del fatto esterno
dell’adattamento dell’abito, dell’”assuefazione”. Infatti in una
precedente pagina esemplare (la 89) Papini osserva che il bello e il brutto non
hanno esistenza reale, ma sono opinioni che gli uomini “prendono”, tant’è vero
che il bello varia da paese a paese, ma anche da persona a persona. Per poter
giudicare del Bello bisogna esser competenti, cioè educarsi e per poter
educarsi e rendersi competenti bisogna accettare come modelli di Bello quelle
opere o quelle cose su cui il giudizio di Bello deve esprimersi. E’ naturale
quindi che la coercizione esercitata dall’assuefazione dell’educazione
faccia trovar belle quelle cose e produzioni che diventano il modello insieme e
l’oggetto del giudizio. Si pensi al discorso sull’arte, a come si sia passati dal
considerare quanto meno strani e poi originali e splendidi i volti con occhi
ravvicinati e le bocche sproporzionate di Picasso (che comunicano intenso
dolore) o i cubi di Le Corbusier che vorrebbero avvicinarci ad un’edilizia per
tutti.
In breve il
Vero il Bello il Bene non sono assoluti, cioè universalmente e necessariamente
validi: insomma ci sono solo i vari Veri, Belli, Beni. Quindi il
giudizio estetico per essere puro dovrebbe basarsi al tempo
stesso su ignoranza e cultura. Sull0ignoranza per non sottostare alla tirannide
esercitata dalla “fama”, cioè dall’assuefazione, sulla cultura per poter
diventare “competenti” nell’emettere un giudizio. Non a caso ci viene in
soccorso Leopardi con questi versi: “Più ti va lungi l’occhio del pensiero/ più
presso viene quello che tu fissi:/ ombra e mistero”.
Non solo
riguardo lo scetticismo in Italia il Professore ci ricorda che “si formula
nettamente col Petrarca e indice della sua indole scettica è già il suo
appassionato amore per Cicerone. Questi apparteneva alla “scettica accademica”
e rimase quasi il solo grande rappresentante del pensiero filosofico di Roma
nel periodo aureo. Ed ancora una volta si rende evidente che la storia del
pensiero umano segue nei secoli un filo che lo trascina e rinnova e passa per un
ordito intessuto da aurei pensatori.
Non solo guardare alle cose e ai fatti con un
pizzico di sano scetticismo diventa una virtù che ci può salvare da rovinose
cadute.
PUTIN MACRON
BIDEN
Jimmie Moglia
Questa prima
immagine è riferita al sito dell’ingegner Moglia con titolo da un suo libro di
citazioni scespiriane che ha avuto fortuna: Our
Daily Shakespeare
Cliccando
sul link premesso, potete ascoltare direttamente l’ingegnere, che nella sua
casa di Portland si è costituito uno studio televisivo e che è appassionato di
storia e profondo conoscitore in questo campo.
Da pagina
n.6 del mio sito precedente mlbressani/wixsite.com/marialuisabressani,
intitolata “Dante e Jimmie, Larcher, Alberti”
ricordo queste tre persone per cui fui contattata dall’estero. In quel sito
avevo sperimentato la pagina colorata dato che il libro nacque colorato e mi
ero invaghita di questa idea: perciò
conservo così, a colori, questi stralci.
2012: Jimmie Moglia, che da 40 anni vive a Portland in
Oregon, mi ha contattato avendo trovato su Internet un mio articolo in cui
parlavo del mio liceo classico D'Oria a Genova e del prof. Emanuele Gennaro che vi aveva insegnato storia e
filosofia. Gennaro era stato l'inventore della Pittura Filosofica su cui
presentò a Milano nel '1959 un Manifesto. Moglia che aveva frequentato lo
stesso liceo ma non ci conoscemmo perché ha qualche anno più di me
e soprattutto si prese la maturità a 17 anni cioè prima che
io entrassi al liceo (e dato che allora i rapporti tra studenti erano
comunque improntati alla timidezza e separatezza forse non ci saremmo comunque
conosciuti) desiderava avere qualche testo o immagine dei quadri del
professore. Pensava di riscontrarvi nella trasposizione simbolica di idee in
pittura un metodo analogo a quello da lui seguito per il suo Metodo per la memoria (cui tiene moltissimo e che
consiste in cartoline mentali che ognuno si costruisce ma un po' rassomigliano
alle “Statue” nella Retorica di Cicerone, quelle che servivano a riattizzare
un'idea da ricordare, nel caso di Moglia però la cerca
d'immagini avviene con l'ausilio di Internet). Non mi
dilungo perché su Moglia molto si trova su Internet: il mio articolo a suo
riguardo aveva come titolo: “Dante e Jimmie, 3500 modi di cavarsela con Dante”
( Il Nostro Dante Quotidiano è un libro di citazioni dantesche )
La seconda persona
per cui sono stata cercata dall'Inghilterra è una brava dottoressa Marina Larcher e l'ho messa
io in contatto con quel signore che cercava ragguagli maggiori sulla sua tesi sui mulini della valle del Nervi e sulla Colonna infame che è
nella valle del torrente Nervi.
La seconda tesi specialistica di laurea di Marina Larcher
(2009/10) riguardò come riportare a splendore fiorito il Parco Luxoro, quarto
parco di Nervi, che è soprannominata la piccola Versailles perché ha per
l’appunto quattro Parchi con quattro Musei. Larcher
stessa mi venne poi a trovare a casa
per farmi dono della sua tesi e constatai che oltre ad essere così brava
è anche una bellissima ragazza e conservo quel suo lavoro in uno scomparto
privilegiato della mia biblioteca, dedicato ai miei affetti.
Il terzo articolo (2014) che
inserisco riguarda Alberto Alberti che
fondò la neurochirurgia a Buenos Aires ma che soggiornò a fine Ottocento in
Viale delle Palme a Nervi, allora denominato Viale Vittorio Emanuele. Luciano Basso, direttore alle
pagine di Genova e Liguria del Giornale, mi aveva incaricata di far
sapere ad un suo amico trentino, Giovanni Petrolli,
in che villa del Viale avesse abitato il neurochirurgo. L'amico, fratello
di un musicofilo come era anche Basso e che aveva già scritto allora un
libro su Maria Callas, in quel momento si dedicava alla ricerca sull'Alberti
per uno studio intrapreso da un signore argentino di nome Crocco. Ma non venni a capo di
nulla, però incontrai per strada Eros Chiasserini, un navigante che andato in
pensione si era dedicato a studi sulla sua terra nerviese. Gli chiesi come sarebbe venuto a capo lui di questa
mia ricerca. "Semplicissimo - mi
rispose -. Lei mi ha detto che Alberti nel 1896 ebbe una figlia, Laurita:
allora le donne partorivano in casa e le basta andare all'anagrafe storica che
è qui in Nervi".
Seguono vari
sviluppi alla ricerca e il commento al libro che Giovanni Petrolli scrisse sull'Alberti e alla domanda dove avesse
lavorato a Nervi il neurochirurgo ha risposto lo psichiatra Paolo Peloso
(v. alla pagina”Cultura e sociale”
sempre di quel mio sito citato, il mio articolo "Al Lyceum un libro
importante: Storia della psichiatria a Genova").
Ucraina La guerra e la storia
Franco
Cardini e Fabio Mini
(prefazione di Marco Travaglio)
Talvolta uno
storico di lunga navigazione può lasciarsi sfuggire ciò che pensa davvero prima
d’introdurci all’analisi completa e approfondita dei fatti. Ed è ciò che ha
detto Cardini a proposito di Biden, cioè “il farfuglione” e a proposito di
Zelenski “il guitto”. Di ciò dobbiamo essergli grati e non tentare di
spulciarlo come ha fatto Lilli Gruber ad “Otto
e mezzo” a proposito del leader ucraino. Queste parole ci danno già il
polso della situazione prima di addentrarci nella storia tanto più che
l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina è una guerra per procura come è stata
definita tra Biden e Putin. Biden in cerca di ricuperare lo scacco del ritiro
dall’Afghanistan e Putin che tira dritto verso i propri obiettivi come la
conquista completa del Donbass dove dal 2014 è in atto una guerra civile con il
massacro della popolazione che si sente più russa nel cuore (13mila gli assassinati dagli ucraini).
Quando
Montanelli lanciò il giovane giornalista Marco Travaglio
mi meravigliai, mentre oggi capisco la lungimiranza del grande giornalista
Indro perché Travaglio ha quello spirito che si riscontrava nei “Controcorrente” de il Giornale.
Dalla
Prefazione di Travaglio: “A scrivere questo libro sono Franco
Cardini e Fabio Mini,
uno storico e un generale che manifestano una prodigiosa quanto rara immunità
del nuovo terrificante contagio. L’immunità che deriva da una tripla dose di
vaccino: competenza, libertà di pensiero e spirito
critico”. E in chiusura di prefazione mette queste parole. “In
Ucraina alla rappresentazione dualistica tra invasi e invasori, dovremmo
aggiungere un terzo elemento: gli invasati”.
Spiega: “Gli
analisti militari erano d'accordo che Putin non volesse annettersi l’intera
Ucraina (in gran parte ferocemente antirussa, per giunta economicamente
semifallita già prima della guerra, dunque difficile da mantenere e
sconveniente da annettere), ma ingoiarsi il Donbass (russofono, russofilo e
ricco di materie prime) e annettersi piuttosto il corridoio sul Mar Nero che lo
collega alla Crimea…La lunga marcia della colonna di tank su Kiev era un
diversivo, una minaccia per trattare da posizioni di forza”.
… “Invece
per convincerci a diventare i Tafazzi di noi
stessi, con sanzioni che danneggiano più noi che la Russia...
con un'escalation militare che ci rende cobelligeranti… dovevamo assecondare il
disegno di Joe Biden che per far
dimenticare l’ignominiosa fuga dall’Afghanistan vuole rifilare a noi e ai Paesi
Ue il suo gas liquido, inquinante scadente e costoso al posto di quello russo.
“Il caso ‘clinico’ italiano è emblematico in quanto
caricaturale (noi siamo capaci di trasformare in farsa qualsiasi tragedia)
perché un’università e vari teatri hanno bandito col foglio di via Dostoevskij
e Čajkovskij, russi dunque putiniani” e uno dei migliori direttori
d’orchestra del mondo, russo e amico di Putin, e il fotografo Alexander Gronsky
s’è visto cancellare l’invito al festival ‘Fotografia Europea 2022’ di Reggio
Emilia perché russo… Non solo, lo studioso di fama internazionale Alessandro
Orsini, dopo aver mostrato una cartina geografica delle forze in campo ed aver
detto che l’esito della guerra era già segnato dalla sproporzione delle forze
in campo, è stato censurato dal Messaggero
ed ammonito dalla sua Università, la Luiss, e si è visto stracciare un
contrattino di collaborazione alla Rai… Il tutto in nome di dei valori
‘liberaldemcoratici’ minacciati da Putin e difesi da chi sogna una società fondata
sul pensiero unico e depurata dal dissenso.
“E’ stata
stilata una sorta di lista di proscrizione in nome di questi nostri valori che
ha incluso Barbara Spinelli, Luciano Canfora, Lucio Cracciolo”.
Continua
Travaglio: “Resta da spiegare perché l’Italia non abbia inviato armi ai
numerosi popoli aggrediti negli ultimo trent’anni dai serbi agli afgani, agli
iracheni, ai somali, ai libici… e anzi abbia sempre collaborato con gli
aggressori”.
L’unghiata
del leone del giornalista (lui non ha bisogno della zampata) arriva quando
dice: “Joe Biden ha dato del macellaio e del genocida a Putin, quando lui
stesso è padrone della macelleria che ha fatto molte più guerre e molti più
morti di Putin e al massimo potrebbe assumere Putin come garzone.”
Però
Travaglio non mistifica la verità e a proposito di Putin che voleva
denazificare l’Ucraina, osserva che usa bombe e carri armati, cioè gli stessi
metodi con cui Hitler nazificava l’Europa, e commenta che se per Eschilo la
prima vittima della guerra è la verità, la seconda è certo la logica. Osserva
ancora che la Nato è un’alleanza difensiva ma nella sua storia ha aggredito
mezzo mondo, che la Nato difende i valori della democrazia ma tra i suoi soci
vanta la Turchia di Erdoğan ed ha appena fomentato un golpettino in Pakistan
per cacciare un premier non gradito.
Franco
Cardini: Drôle de guerre
Titolo
scelto dallo storico ad indicare la “stranezza” di questa guerra ma che si può
anche metaforicamente leggere come “trappola”, come una trappola in cui sarebbe
stato trascinato Putin stesso: titolo che è comunque accompagnato da
un’esplicativa frase di Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano: “…In ogni conflitto tra il fanatismo e il buon
senso è raro che quest’ultimo prevalga”.
La
spiegazione del titolo arriva puntuale al capitolo “Ma chi è caduto nella
“trappola di Tucidide?” Infatti nel febbraio scorso Putin potrebbe esser caduto
in una ben congegnata trappola Usa-Nato a causa anche di notizie imprecise
fornitegli dai suoi servizi segreti. Credeva in un rapido blitz tra fiori e bandiere dei “russofoni irredenti”
mentre si è trovato un Paese armato fino ai denti dal mondo occidentale, ben
provvisto di consiglieri militari (per quanto solo i britannici abbiano ammesso
ufficialmente di averne inviati alcuni) ed è scattata la trappola di Tucidide
che consiste nel fatto di una grande potenza in decadenza la quale ritiene di
poter arrestare il declino assalendo una potenza subordinata. Accadde agli
ateniesi con Delo, evento che fu la causa della “guerra del Peloponneso”. Dietro
Delo c’era la grande Sparta. L’Atene-Russia va contro la fragile Delo-Ucraina
però sorge spontanea una domanda: “non è che l’Atene-Usa desiderosa di
strangolare la Delo-Russia non sia caduta a sua volta nella trappola
Sparta-Cina e troppo tardi si sia accorta di aver cementato l’alleanza fra le
due potenze Russia e Cina? Chi dunque è finito in trappola? Commenta Cardini:
“Lo vedremo nei prossimi mesi, perché a dirla con Marco Antonio di Shakespeare,
il misfatto è ormai combinato”.
La vergogna
o ignoranza dei commentatori televisivi o dei politici su questa guerra è che continuano a cantarci che c’è un aggressore (Putin) e un
aggredito (l’Ucraina). Partono solo dall’invasione ma in Ucraina nel 2014 ci fu
un colpo di mano ucraino in funzione antirussa, cioè l’accordo
tra l’Ue e l’allora nuovo premier ucraino Porošhenko che nelle intenzioni
preludeva all’ingresso del nuovo Stato slavo nella Ue e di lì a poco
l’allargamento del fronte missilistico della Nato in contraddizione con gli
impegni presi dal 1991.
Osservazione
di Cardini: “Oggi ci si meraviglia se un primo passo verso una pace lontana è
stato intrapreso con la mediazione di tre dittatori: Putin, XiJinping ed
Erdoğan. Sottolinea pure come gli occidentali seguano uno strano metodo
nel definire i dittatori: ad esempio l’iracheno Saddam Hussein tale non era
considerato negli anni Ottanta quando massacrava gli avversari, gasava i curdi
e bombardava gli iraniani sotto il benevolo sguardo di Kissinger che lo
definiva “il presidente del sorriso”, ma fu promosso a dittatore, anzi a nuovo
Hitler negli anni Novanta e i primi del 2000 quando se la prese con il Kuwait e
con Israele nostri alleati e allora fu accusato del possesso di armi di
distruzione di massa (bugia di George W. Bush e di Toni Blair), guerra che costò
migliaia di morti.
Commenta
Cardini: “ la guerra in Iraq nel 2003 fatta dagli Usa e dai loro complici, come
quella di due anni prima contro l’Afghanistan fu aggressione
proprio come quella di Putin ai danni dell’Ucraina. Con dolente ironia fa
osservare che però allora nessuno parlò di crimini di guerra, né si mosse
alcuna Corte dell’Aja e i nostri media allora non ci mostrarono bambini colpiti
da spezzoni d’armi o vecchiette sofferenti, generi dei quali a Kabul e Baghdad
c’era penuria mentre oggi abbondano tra Kiev, Mariupol e Leopoli. E questa è
disinformatio.
“Putin
– dice il Professore – è obiettivamente un aggressore, ma aveva invitato più
volte – l’ultima nel dicembre 2021 – il governo
statunitense a desistere dal progetto di allargamento della Nato a oriente e
dall’ostinazione a coprire i nazionalisti ucraini che uccidevano,
e bombardavano i loro compatrioti definiti con disprezzo filorussi o russi
residenti nel Donbass”.
Osserva
però il Professore a proposito di Zelensky, che per europeo e occidentale che
si possa considerare non è né l’uno né l’altro e non ha capito che qualunque
occidentale da Biden fino all’ultimo ragazzino cliente di un McDonald’s è men
che meno disposto a rischiare una guerra.“Da noi si è pronti
a combattere contro i russi, ma solo fino all’ultimo ucraino, cioè per procura,
per interposto popolo”.
Conclude
il saggio di Cardini con un capitolo
dove ritorna il concetto di trappola dal titolo “L’errore
obbligato di Putin, ovvero la caduta in una trappola inevitabile”. La trappola
tesa dagli americani a Putin è consistita nell’obbligarlo a scegliere un’azione
militare che gli avrebbe fatto guadagnare il titolo di aggressore ed
un’immobilità letale per le sue funzioni e il suo prestigio. Putin ha avuto la
sorpresa di trovarsi un Paese sostanzialmente già membro della Nato; non solo
tre quarti di secolo di americanizzazione
a tutti i livelli hanno dato frutti. “Ribellarsi: ecco la nobiltà dello
schiavo” affermava Nietzsche ma gli europei e soprattutto gli italiani hanno
dimostrato in questo frangente di essere “schiavi ignobili”.
Fabio
Mini.
Proprio le pagine del generale Fabio Mini, già capo di Stato maggiore del
Comando Nato per il Sud Europa (operazioni dei Balcani, operazioni di pace in
Kosovo), autore di libri come Perché
siamo così ipocriti sulla guerra? e Mediterraneo
in guerra. Atlante politico di un mare, ci ricordano quale sia stato il
legame nostro con la Russia. Questa ha sentito il nostro schierarsi dalla parte
di Kiev con delusione e rabbia per un “tradimento”.
Mini
ci ricorda come la Russia trabocchi d’amore per il nostro
Paese del sole e del bel canto. I russi già dell’epoca zarista,
(e ci ricorda le immagini di Karl Friederich Schimkel dedicate al palazzo della
zarina a Oriunda lungo la costa del mar Nero e ancora La signora dal cagnolino di
Josif Chejfic), vedevano la Crimea come una sorta di promontorio amalfitano. Noi e loro, i russi, siamo “fratelli di vino, di limone e di
melone”, il mandolino è quasi gemello della balalaika (di cui io
ricordo una bella canzone di Natalino Otto che recitava “Suona Balalaika/ tutte
le stelle sono ancor lassù/, è stato un sogno che non torna più”), Mini
conclude questa sua appassionata pagina che premette alle sue considerazioni
con un “Vergogna! Dal momento che
sapevamo bene, compiendo l’atto di guerra dell’invio delle armi all’Ucraina,
che la diplomazia russa non era in grado di reagire adeguatamente dato che noi
siamo protetti dallo scudo Nato. “Abbiamo perfino fatto la parte delle vergini offese
quando ci è pervenuta da parte russa notizia del disprezzo con cui giustamente
venivamo ripagati”.
Più
modestamente voglio ricordare che nella località dove
vivo a Nervi di Genova nella seconda metà dell’Ottocento
arrivarono i primi stranieri: gli inglesi seguiti da svizzeri e tedeschi. Nel
palazzo dei marchesi Crosa in via Capolungo sorse lo Schickert’s Park Hotel e
nell’edificio contiguo s’insediò la Pensione Russa. Non a caso l’edificio più
caratteristico della passeggiata a mare avrebbe ora un proprietario russo anche
se purtroppo i lavori di ristrutturazione sono fermi, ma sui pannelli fuori
dell’edificio campeggiano due grosse “Z” e la scritta “non si mandano armi agli
ucraini”. A Nervi soggiornò il russo Anton Cechov autore del giardino dei ciliegi e sulla passeggiata a mare c’è
una targa per Anna Achmatova di cui Modigliani ha lasciato splendido ritratto.
Da
comandante che ha operato in guerra Mini ci fa osservare che “i russi,
nonostante il controllo quasi totale dell’aria, hanno risparmiato tutte le
città del resto dell’Ucraina, incluso Leopoli (centro di smistamento dei
profughi), e Dnipro (il polo industriale militare più importante che ha fornito
carri armati e missili a tutta l’Unione Sovietica). Hanno risparmiato Kiev, pur
circondandola”. E’ una lettura altamente diversa da quella che ci propinano
ogni giorno i media.
Quanto
agli oligarchi e alle sanzioni ci fa considerare realisticamente che le
ricchezze bloccate a questi personaggi finiranno nel cassetto di altri
oligarchi e profittatori anche occidentali.
Ma
voglio chiudere con le sue considerazioni su Buča e Kramators’k. Premette.
“Se un Paese si volesse definire democratico, l’informazione oltre alle notizie
fabbricate dalla propaganda dovrebbe fornire valutazioni e commenti su tutti i
fatti e le versioni in modo che gli ascoltatori o lettori possano farsi
liberamente la propria opinione. E poiché siamo in guerra, checché se ne dica,
il regolamento Ue è censura di guerra”.
Buča.
–
Sempre con parole del generale: “I corpi straziati anche da evidenti segni di
tortura erano ammassati non si sa da chi e nemmeno quando e perché, ma da
subito addebitati come ‘genocidio’ alla Russia. Le fosse erano collegate ad
altri cadaveri lasciati lungo una strada ma anche questi di incerta causa e
provenienza”.
Kramators’k. - Il missile che ne ha colpito
la stazione è sovietico e a rilascio di bombe a grappoli, ma non è quello
individuato da Kiev come Iskander bensì più vecchio, un Točka-U radiato
dalla Russia nel 2020, ma ancora usato sia dagli ucraini che dai separatisti
russi del Donbass. La frase “per i bambini” era usata dall’esercito ucraino sui
razzi lanciati contro i separatisti fin dal 2014.
Non
solo per Buča la frase del cancelliere Scholz “non si faranno sconti a
nessuno”, considerato che finora alla Russia non è stato
scontato niente e all’Ucraina tutto, non è un invito alla
giustizia quanto piuttosto un monito a chi si sospetta abbia ordito un macabro
piano.
Questo
è accertamento? I testimoni veri, i corpi, vengono trasportati altrove, in
questi casi la cosa più seria sarebbe la messa in sicurezza di tutta l’area,
l’intervento di specialisti del crimine, il recupero e conservazione dei
cadaveri, l’indagine immediata da parte di giudici forensi. Ogni compromissione delle procedure - inclusa la fretta -
riesce anche a far tacere i cadaveri.
Conclude
il generale con un’analisi del demografo tedesco Gunnar Heinson sulla quantità
di giovani spendibili in guerra perché senza lavoro e senza prospettive.
Afaghanistan e Pakistan sono in testa alla graduatoria con 38 milioni di
ragazzi, segue l’Iraq con 5,5 milioni di ragazzi. Questi Stati come altri
d’Africa si trovano in boom demografico, gli Usa sono in neutralità, Russia e
Cina prossimi alla capitolazione, Gran Bretagna, Germania e Italia in
capitolazione avanzata. Molti Paesi non incentivano l’immigrazione dai Paesi in
boom demografico, ma gran Bretagna, Usa e Nuova Zelanda, Canada e Irlanda da
decenni favoriscono l’immigrazione da Ucraina, Polonia, Australia e Paesi
baltici che sono già in capitolazione.
Non
solo dato che le donne in Ucraina sono quelle che emigrano di più con i
bambini, sono generazioni che si perdono per quando il Paese ne avrà più
bisogno. Non solo pochi Paesi al mondo valorizzano l’immigrazione attuando
un’integrazione ed emancipazione economica e sociale. Si contano sulle dita di
una mano i Paesi nei quali gli immigrati degli ultimi trent’anni, nonostante il
pallore della pelle e l’istruzione, sono riusciti a superare il rango di
lavapiatti e badanti.
Conclude
il generale con un’osservazione: “L’orologio dell’apocalisse nucleare è a meno
di cento secondi ed è adesso che bisogna fermare la guerra con la ragione,
possibilmente salvando tutta l’Europa, Ucraina e Russia incluse”.
Chi
conosce la guerra sa quanto sia importante per la pace arrivare ad un
compromesso tra le parti, perché chi conosce la guerra ha visto sangue, orrori
e tanti, tanti morti.
A
fine di questo libro, prezioso per capire, una quarantina di pagine con il
riepilogo, in date e anni delle vicende europee e in particolare di Russia e
Ucraina dalla caduta del muro dei Berlino, il 9 novembre 1989. E sembra sia
avvenuto anni luce or sono.
PUTIN
L’ultimo Zar
Da San
Pietroburgo all’Ucraina
Nicolai Lilin
Lilin ha assunto questo nome d’arte in omaggio alla madre Lilia, è nato nel 1980 in Transnistria, oggi Repubblica Moldava che però allora era Unione Sovietica. Ha scritto nove libri di cui Educazione siberiana (2009 Einaudi) è diventato film con Gabriele Salvatores. Ha studiato i tatuaggi della tradizione criminale siberiana ed ha un laboratorio artistico a Milano, il Kolima Art Studio, e li ha esposti alla Triennale di Milano e al Castello di Susans e al Museo del Novecento. Ha combattuto nella Seconda guerra cecena. Ha due figlie. Ha avuto la cittadinanza italiana e gli preme però far capire come sia diversa la mentalità russa dalla nostra. Per far vedere quanto siano artistici i suoi tatuaggi ne riporto due e le cover del libro Storie sulla pelle (edito Einaudi).
Questo libro di Lilin è un’epopea:
-Della Russia. Cita una frase di Nicolaj Gogol ne Le anime morte. Lo scrittore paragonò l’Impero dello zar alla slitta trascinata dalla trojka di cavalli: ‹‹Russia dove mai voli tu? Rispondi. Non risponde. Stupendo lo squillo si spande dalle sonagliere, rimbomba e si muta in vento l’aria squarciata; vola indietro tutto quanto è sulla terra, e schivandola si fanno in disparte e le danno la strada gli altri popoli e le altre nazioni››.
-Di Putin.
Ma prima desidero evidenziare dal libro qualche tratto biografico di Lilin.
-Lilin.
L’Autore ricorda suo nonno Boris, un vecchio criminale siberiano che gli inculca pensieri di onestà e rispetto come quando commenta una frase di Putin a proposito dei terroristi ceceni in una delle sue prime dichiarazioni pubbliche: “Li bagneremo anche sul cesso". Nonno commentò: “Siamo all'Apocalisse il capo degli sbirri parla come un criminale".
Ma per Putin era un modo per farsi capire subito perché il termine bagnare, Mochit, proviene dal gergo di strada criminale. Risale al tempi della costruzione di San Pietroburgo, quando su ordine di Pietro il Grande i criminali vennero utilizzati come manodopera di basso livello, lavorando nelle paludi per creare isole di terraferma su cui edificare. Questi forzati non avevano possibilità alcuna di seppellire i morti e li gettavano nella palude e così il verbo “bagnare” divenne lì sinonimo di “seppellire”.
Lilin ricorda anche sua madre, fervida comunista, che gli fece capire “come Anatolij Sobchak che era stato all’Università professore di Putin e poi si era messo in politica (e alla morte fu ricordato da Putin con parole di elogio come “persona per bene, onesta, brillante, talentuoso, aperto”) fosse stato invece “uno sprovveduto visionario della politica, sfruttato e poi fatto fuori dai ladri della nomenclatura, coloro che prima derubarono le ricchezze accumulate dall’Urss e poi presero il potere come oligarchi privati". La lezione politica materna fu data a Lilin durante un trasloco mentre lo costringeva a trasportare la sua raccolta di testi di grandi ideologi del comunismo e così gli fece anche capire “il peso” dei pensieri di Lenin. Quel trasloco infatti gli risultò davvero pesante ma fu comunque utilizzato dalla madre come un momento educativo.
Lilin ricorda un episodio di quando era bambino e, caduto il muro di Berlino, Putin tornava a Leningrado molto depresso dopo il suo incarico in Germania, quel momento non era migliore per Lilin stesso. Racconta: “Ricordo, bambino a fine anni ottanta, gli scaffali vuoti, in certi giorni si trovavano solo barattoli di alghe del Mare del Nord in salamoia. Bisognava arrivare diverse ore prima dell’apertura del negozio e qualcuno prendeva posizione alle tre del mattino e teneva il posto per tutto il palazzo. Una volta durante una di queste file interminabili, debole e denutrito, finii per svenire; quando mi rialzai una signora mi diede un pezzo di pane e mi disse qualche parola di conforto. Era come se fossimo in guerra".
Sono pochi ed essenziali i ricordi autobiografici che Lilin inserisce nel libro ed è molto importante il pensiero con cui chiude queste pagine che riguarda la grandezza militare della Russia ma anche la sua povertà in altri campi. Parla così della generazione di coloro che sono stati giovani come lui ora quarantenne: “Siamo stato i primi a subire le pesanti conseguenze della droga, delle ideologie estremiste, del terrorismo. Con le armi in mano ci siamo arruolati tra le file dell’esercito nelle montagne del Caucaso a dare la caccia ai terroristi internazionali arrivati lì da ogni dove con i quali però avevamo due cose in comune: la provenienza dalle classi sociali basse e spesso anche l’età…. L’inizio della presidenza di Putin per noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare delle nostre vite… Abbiamo imparato a rispettarlo e creduto ciecamente nella sua visione del futuro. Però sono passati vent’anni e abbiamo famiglie. I notiziari della Tv russa ci raccontano dell’ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito ma nella striscia in basso sullo schermo si legge che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di un malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare e viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bimbo negli Usa o in Germania, dove potrà essere curato. E allora qualcosa si rompe in me e prendo coscienza di appartenere ad una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti dal potere che governano la mia patria”.
L’epopea di
Putin
Per capire un uomo bisogna sempre risalire alle sue radici familiari e così è
anche per Putin.
Putin nacque il 7 ottobre 1952 in un piccolo monolocale in una delle tante case comunali del vicolo Bashov di Leningrado, oggi chiamata la capitale del Nord e che è San Pietroburgo. I suoi genitori si erano sposati entrambi diciassettenni. Il padre lavorava come fabbro alla catena di montaggio dei telai nella fabbrica di Egorov dove si costruivano vagoni ferroviari; la madre Maria lavorava in fabbrica ma dopo la nascita del bimbo e dopo che erano morti i suoi due precedenti fratellini era stata assunta tra gli “spazzini”, come in Russia si chiamano i custodi che tengono in ordine palazzi e cortili.
I suoi bisnonni erano “servi della gleba" (istituto che fu abolito e molti contadini si trasferirono nelle città per lavorare nelle fabbriche).
(Inciso: La servitù della gleba
che in epoca romana era stata colonato, fu figura giuridica molto diffusa nel
Medioevo e legava il contadino ad un determinato terreno – gleba in latino
significa zolla di terra - e indicava una figura a metà tra lo schiavo e l'uomo
libero)
Il nonno paterno di Putin, Spiridon, era stato inviato dalla famiglia a San Pietroburgo per imparare il mestiere di cuoco ed iniziò a lavorare nei migliori ristoranti dove la clientela apparteneva alla nobiltà e all'alta borghesia. Guadagnava fino a cento rubli d'oro al mese cioè una somma inimmaginabile per chi proveniva dagli strati umili della società. E una sera dal suo ristorante passò anche Rasputin.
Con l’inizio della Grande Guerra Spiridon venne arruolato in fanteria, si avvicinò all’ideologia comunista diffondendo manifesti di propaganda tra le truppe, attività che nell'esercito zarista veniva punita con la fucilazione. Un giorno si trovò faccia a faccia con un soldato austriaco e gli sparò ma quando lo vide a terra urlante di dolore, lo medicò e l’aiuto a ritornare tra i suoi.
All’inizio del secolo scorso ogni nascita rappresentava una risorsa per la sopravvivenza della comunità e le radici familiari dei Putin, rintracciate nei registri della chiesa del suo villaggio, risalgono ai tempi dello zar Pietro il Grande, a trecento anni or sono. E Putin lo ricordò in un incontro con giornalisti americani sottolineando che a quei tempi gli Usa non esistevano ancora ed in questo consisteva la loro principale differenza.
Quando la Germania nazista trascinò la Russia in guerra, la maggioranza dei russi ritenevano che la guerra sarebbe finita in una settimana con la vittoria sulla Germania di Hitler. Stalin ignorò gli evidenti segnali dell’invasione da parte della Germania (cosa che costò all’Urss decine di milioni di vite, ma ripudiando le sue precedenti simpatie per Hitler, tornato al Cremlino in un discorso alla radio ricordò il glorioso passato della Russia (zarista) che aveva sempre sconfitto gli invasori e dopo quel discorso ci fu un numero record di arruolamenti volontari nell’esercito tra cui il padre di Putin. Durante un’operazione di monitoraggio dei nemici, un gruppo di soldati sovietici finì in un'imboscata e tra i quattro sopravvissuti che ritornarono attraverso le paludi portando preziose informazioni c’era appunto il padre di Putin. In un giorno d’inverno del 1942 fu mandato verso postazioni nemiche per catturare un prigioniero, però i tedeschi li individuarono e Putin padre fu ferito alle gambe. Sarebbe morto dissanguato, ma uno dei commilitoni che era un suo vicino di casa lo riconobbe, se lo caricò in spalla e percorrendo a zig zag il ghiaccio della Neva lo portò in salvo.
Seguono notizie agghiaccianti su quel periodo di guerra e di carestia e il padre di Putin fu ricoverato all’ospedale militare; la moglie Maria riuscì a rintracciarlo ma era così debole e sfinita che il marito le passava parte della propria razione di cibo, cosa proibita e considerata come un furto di una proprietà dello stato e quindi punibile con la fucilazione. Però lui stesso divenne così smagrito e debole che i medici, scoperta la causa, impedirono i contatti tra i due sposi. Quando Putin padre fu dimesso si mise a cercare la moglie e giunto davanti casa vide la vettura del servizio sanitario della città che ogni giorno faceva il giro a prendere i cadaveri dei morti durante la notte, che venivano addossati al muro del cortile. Tra questi riconosce la moglie ma, avvicinatosi per stringerla un’ultima volta, si accorge che respira e lo urla ad uno dei sanitari, il quale gli risponde che tanto non sopravviverà a lungo. Allora lo picchia con la stampella e lo costringe a riportare la moglie nell’appartamento dove la accudisce salvandola.
Inizia però un periodo ancora più tremendo per gli invalidi di guerra come lui: non trovano lavoro e diventano mendicanti senzatetto, annegando i problemi nell’alcol. Però Putin padre trova posto come fabbro nella fabbrica di Egorov che costruiva vagoni ferroviari e l’azienda offre alla famiglia una stanza in una casa comunale in centro città: avevano un bagno comune da condividere con altri venti vicini. Questi cortili erano chiamati “pozzi” perché se ci si pone al centro alzando gli occhi al cielo sembra proprio di essere sul fondo di un pozzo.
La città era ambiente ideale per la criminalità organizzata e la polizia non riusciva ad acchiapparli perché quando arrivava tutti scappavano nascondendosi come scarafaggi nei numerosi passaggi segreti. Putin, il futuro presidente, dalla strada impara il motto “picchia per primo” perché aspettare potrebbe essere tardi. Impara però anche una sorte di codice d’onore; la lealtà verso gli amici (bisogna rispettare chi merita rispetto e bisogna farsi rispettare e ricordo una giovane e bellissima peruviana che aiutava la mia mamma affetta da Parkinson quando un giorno la sentii dire per telefono ad una zia: “tu rispetti me ed io rispetto te”, insomma certi principi valgono ovunque). E senza scampo in Putin il desiderio di annientare “i traditori”.
Fatto importante riguardo lealtà ed amicizia: era stato battezzato dal padre di Cirillo, il Kirill patriarca dell’odierna Chiesa ortodossa di Mosca.
Tra le esperienze formative dell’adolescenza Putin ricorda la palestra di pugilato dove però gli ruppero subito il naso e quindi l’iscrizione al sambo lotta molto diffusa dove incontra un “maestro di vita”, il suo allenatore Anatolij Rahlin che lo allontanò definitivamente dalla strada.
Il sambo era anche un programma
di educazione fisica valido per militari dell’esercito, poliziotti, ufficiali
di sicurezza.
Queste radici familiari e della giovinezza di Putin ci riportano ad un’Italia lontana e l’accostamento con I ragazzi della Via Paal è già stato fatto da qualche autorevole e Putin stesso poi verrà investito di un ruolo da sentinella della Russia che fa ricordare La piccola vedetta lombarda di Cuore.
KGB (Comitato per la sicurezza che doveva individuare le spie e gli anticomunisti): Putin ragazzo vi si presenta per potervi lavorare ma viene a sapere che non ci si propone ma si è cercati e scelti e che requisito fondamentale è la laurea. Chiede in quale Facoltà e la risposta è “tutte”, però chiede ancora quale sia la migliore, risposta "Legge" e Putin per l'appunto entra alla Facoltà di Giurisprudenza e al quarto anno viene chiamato dal KGB dove presta servizio dal 1975 al 1991. Né si può dimenticare la frase del saggio Kissinger: “Tutte le persone per bene hanno iniziato nei servizi segreti”. Putin si sposa e il matrimonio dura trenta anni e la moglie ha detto: ‹‹Lui ha sempre vissuto per qualcosa di più grande››.
Putin viene destinato in Germania anche perché conosceva bene il tedesco e vi rimane per cinque anni, ma alla caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, Putin rientra a Leningrado. Il Kgb è in grave difficoltà e il 5 dicembre del 1989 una folla di manifestanti tedeschi cerca di assaltarne la sede del quartiere generale ma Putin, definendosi un interprete, esce da solo incontro alla folla e chiede cosa vogliono. Risposta: “Ispezionare il palazzo” e replica di Putin: “E’ di proprietà dell’esercito sovietico e i miei compagni all’interno sono armati ed hanno disposizione di difendere il palazzo”. Convince i manifestanti che se ne vanno ma qui risalta anche una sua caratteristica che il Kgb aveva considerato negativa: “possiede un troppo limitato senso del pericolo”. Ora tornato a Leningrado, il Kgb in difficoltà non gli paga lo stipendio e per un anno non riceve neanche un rublo tanto che pensa perfino di fare il tassista ma alla fine trova un impiego presso l'Università come assistente del rettore per le relazioni esterne e decide di preparare il dottorato. Incontra Anatolij Sobchak, docente universitario e leader del movimento democratico ai primi passi in politica per Nova Russia. Questi fu eletto presidente del Consiglio municipale e proprio nel 1991 diventa sindaco (carica che fino ad allora non esisteva). Sobachak era un visionario e voleva far ritornare Leningrado come San Pietroburgo che Pietro il Grande aveva chiamato “la finestra sull'Europa", cioè biglietto da visita di una Russia nuova, moderna, riformata, democratica.
Quel 1991 per la Russia fu drammatico e un giornalista Nikolai Andrushenko attivo nel movimento anticorruzione e deputato del Consiglio municipale di Leningrado ricorda un colloquio con Putin che lo lascia affermando “bisogna fare la grana!” frase molto indicativa come nel periodo di carestia dirà agli elettori “bisogna stringere la cinghia". Putin è un pragmatico ed era stato nominato da Sobachak alla presidenza del Consiglio di sorveglianza sui giochi d’azzardo. Il giro della case da gioco era anche luogo privilegiato per il riciclaggio di denaro sporco e i gruppi criminali si contendevano il territorio di San Pietroburgo. Nel 1991 si fanno più evidenti le tensioni nelle Repubbliche baltiche ma quella che era chiamata Rivoluzione cantata perché basata su dimostrazioni accompagnate da canti popolari a Vilnius vede i primi morti negli scontri con le forze dell’ordine (15 i morti, novecento i feriti). Nel 1992 scoppia la guerra civile in Transnistria, poi iniziano i pregiudizi antirussi e in Moldavia prende piede un partito nazionalista (ben sovvenzionato dall’occidente) che incolpa della miseria i russi e lo stesso succede in piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Armenia, ecc.). Il motto dei nazionalisti era: “valigia, stazione, Russia” cioè i russi dovevano seguire questo iter e andarsene a casa. Dopo la sconfitta elettorale a San Pietroburgo Sobachak era distrutto e Putin considerato la sua eminenza grigia era anche una sorta di “boss” della nuova mafia, basata sui legami tra politica, criminalità organizzata, oligarchi e strutture commerciali.
La stampa scrisse che Putin
aveva acquistato una faraonica villa a Biarritz sulla costa atlantica della
Francia, ma Putin dichiarò di non sapere nemmeno dove fosse quella località
solo che quella villa è entrata a far parte del patrimonio di Ekaterina, una
delle sue due figlie. Sobchack, ormai caduto in disgrazia, venne interrogato e
avrebbe dovuto scattare l’arresto ma ebbe un malore in aula e fu ricoverato in
ospedale dove grazie a Putin fu prelevato da un’ambulanza e portato in Francia
su un aereo privato, affittato per trentamila dollari. Si diede alla scrittura
ed il suo libro s’intitolò Una dozzina di
coltelli alla schiena e pur se non conduceva vita da povero non esistono
prove concrete di un suo patrimonio milionario. La
decisione da parte di Putin di salvarlo deriva dall’acuto senso di solidarietà,
rispetto e gratitudine nei confronti di un uomo considerato amico e in un certo
senso maestro. Questo senso di umanità grande di Putin risalta anche nel
rapporto con la sua famiglia. Il 31
dicembre 1999 quando Eltsin inaspettatamente rassegna le
dimissioni, Putin diviene presidente ad interim della Federazione Russa. Ha
ormai sconfitto il terrorismo ceceno e vorrebbe che, morta ormai la madre, il
padre venisse a vivere con lui al Cremlino, ma il padre rimane sulle rive della
Neva e Putin ogni fine settimana si reca appunto a San
Pietroburgo per stare in sua compagnia qualche ora.
Non desidero ora affrontare tutto quel periodo di commistione anche
con la mafia di Putin al potere che nel libro è ben rievocata ma ricordare il
tipico umorismo russo per cui mentre la Nato che parla
sempre di “minaccia russa” ha ormai puntato sulla Russia i suoi missili
distribuiti nelle base militari che ormai circondano il Paese, i russi
commentano il pensiero della Nato: “ma come sono cattivi questi
russi: guardate quanto vicino alle nostre basi hanno piazzato le loro
frontiere”. Putin però così rassicurò
i propri sostenitori: “L'arroganza e l'aggressività della nuova linea politica
estera statunitense non rimarranno impunite”.
Putin prima dell’invasione dell’Ucraina ha cercato più volte di parlare all’Occidente senza essere ascoltato e già nella Conferenza di Monaco del 2007 aveva indicato alcune linee programmatiche: “Nelle relazioni internazionali non può esistere un modello unipolare. Gli Usa devono smettere d’imporre la propria visione politica, La Nato non rispetta gli accordi internazionali, la Russia continuerà ad impostare la propria politica estera basandosi solo sui propri interessi”.
C’è però da considerare un fatto messo in risalto nel libro: “Putin
non capisce più i giovani russi e loro non lo capiscono a fondo”. E questo
slogan lo spiega bene: “L’acqua della
fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-cola ha lo zucchero e
le bollicine”.
Bravo, proprio bravo questo scrittore Nicolai Lilin: ci fa capire tante cose della Russia e della sua storia dal Novecento ad oggi. Ci sa interessare con la sapienza di una scrittura moderna e senza fronzoli ma anche con una precisa e veritiera documentazione. Insomma ci fa aprire gli occhi su verità che non ci sono mai state così ben raccontate.
LA LINEA DEI MIRTILLI
Paolo Rumiz
Luci sul mare
Claudio Visentin
Ho voluto chiudere la pagina sulla guerra con questo
libro sui fari della Scozia, come una luce che possa farci riprendere il
cammino dopo il dolore delle immagini che ci trasmette la Tv. Che questi fari
siano una speranza anche per noi come lo sono stati per i naviganti. E d’altra
parte i fari che da quello della Vittoria di Trieste sono disseminati lungo la
costa di Istria venivano chiamati “la
collana della Regina Margherita”.
Però prima di leggere questo libro in formato
tascabile ero prevenuta, invece fra tutti quelli che ho recensito in questa
pagina è davvero quello che ho sentito più congeniale.
L’autore, Claudio Visentin nato a Milano nel 1964
insegna Storia del turismo
all’Università della Svizzera italiana. Collabora al supplemento domenicale del
“Sole 24 Ore” e nella sua rubrica per
il settimanale svizzero “Azione”. E’
fondatore della Scuola del Viaggio e
autore di altri libri.
Mi disturbava in un primo tempo che i fari scozzesi
fossero non fotografati ma ritratti a matita dal collaboratore Alessandro
Alghisi e proprio per farvi capire come mi sbagliassi parto da un faro, il
leggendario Bell Rock. che è citato nel libro anche come ritratto da Turner
ed è conservato nel National Museum of Wales in Galles.
Ecco il disegno e a fianco il quadro famoso e una
foto dal vero.
Poi però ho apprezzato la bellezza dei disegni a
matita di Alessandro Alghisi, imparando dal libro quando l’autore deve
imbarcarsi sulla May Princess una barca per escursioni ma a metà giornata la
trova già piena di pensionati in
calzoncini bianchi che sono pronti per andare a giocare a golf (tantissimi i
campi per questo sport in Scozia). L’autore compra uno degli ultimi biglietti
ma poi decide di restare a terra per “un invincibile attacco di snobismo” o
forse perché desidera gustarsi il viaggio da solo avendo prenotato una stanza
in una casa di campagna. Anch’io
riguardo ai disegni ero preventivamente affetta da un mio attacco di snobismo,
invece ora più che mai ho capito come il disegno sia più suggestivo di ogni
immagine anche dello splendido quadro di Turner e sicuramente della foto perché
vi è un’essenzialità come se l’animo di chi disegna entrasse in sintonia
massima con ciò che vede e sta rappresentando.
Con questo
libro sono entrata al massimo in sintonia perché vi sono
leggende
-
la
maledizione di una strega che fa morire il conte di Angus a soli 34 anni ed era
proprietario del castello di Tantallon del XIV secolo le cui rovine sono poco
distanti da Edimburgo ed un’altra strega è ricordata come citata da Water Scott
in quanto si guadagnava da vivere vendendo venti favorevoli ai marinai nel
villaggio di Stromness
storia
-
a
partire dalla spiegazione che le Orcadi sono una settantina di isole di cui
solo una ventina abitate e con quasi ventimila
abitanti
e furono unite con le Shetland alla Scozia nel XV secolo (in quanto dote di
Margherita di Danimarca che nel 1469 andò in sposa al re di Scozia Giacomo III.
Il golfo di Scapa Flow è formato da esse (e le isole sono separate da canali
poco profondi) e fu il rifugio della flotta da guerra inglese, però nella notte
tra il 13 e il 14 ottobre 1939 il sommergibile U-47 vi riesce a penetrare affondando la corazzata HMS Royal Oak. Nonostante la perdita di ottocento marinai alla
Camera dei Comuni il primo lord dell’ammiragliato Winston Churchill affermò
che il raid era stato “un importante
successo di capacità professionali ed audacia”. (Come i politici devono saper
mentire bene!)
E
comunque la storia si può dividere tra antica o delle origini e la più
recente.
Ancora
a fine Settecento i “razziatori” erano in agguato per depredare le navi ed
accendevano falsi fuochi per ingannare i timonieri o legavano perfino una lanterna alla coda di un cavallo per simulare le
oscillazione di un’altra imbarcazione.
uomini = i guardiani dei fari!
-
Vivevano
in piccole stanze con letti curvi a castello (detti “banane”) per
assecondare
la forma del faro e affrontavano lunghi periodi
solitudine
(sei settimane in servizio e due di riposo). La famiglie dei guardiani
invece erano
collocate sulla costa accanto ad una torre da dove comunicavano con il
faro con
segnali convenuti: in occasione della
nascita di un figlio se maschio si
esponevano calzoni, se femmina una gonna.
una donna. In Usa alcuni fari furono affidati a donne, mai in Scozia dove però
moglie
- e figlie
di guardiani in caso di necessità sapevano sbrigarsela egregiamente.
In Usa Ida
Lewis divenne famosa per aver salvato decine di naufraghi.
gli Stevenson Non si può raccontare la storia dei fari scozzesi senza parlare di
loro.
- Ancora
negli anni Ottanta del Settecento il fabbro Thomas Smith costruiva lampade e
lampioni per
la città nuova di Edimburgo e nel 1787 dopo aver studiato gli specchi a
parabola che
amplificavano la luce di una candela si rivolge al Northern Lighthouse
Board diventandone il primo
ingegnere e sposa vedova da precedenti matrimoni Lillie
Stevenson,
che aveva un figlio adolescente, Robert (futuro costruttore di Bell Rock)
e questi ne
prende poi il posto al Northern
Lighthouse Board per costruire Bell Rock - ed è il periodo delle guerre
napoleoniche – riesce ad ingaggiare e addestrare un
centinaio di
uomini. Con spirito promozionale nel 1814 si fece accompagnare nella
visita ai
fari dallo scrittore Walter Scott che era all’apice del successo e che
scrisse una
poesia nel registro del faro di Bell Rock.
I figli
continuano la sua opera e a loro si devono il Muckle Fugga e il Dubb Artach.
Sugli
Stevenson diversi libri sono citati nel “Congedo” dell’Autore al Lettore tra
cui Lo Splendore degli Stevenson. Una dinastia
di costruttori di fari tra ingegno e
letteratura di Bella Bathurst e poiché la famiglia era attraente per
scriverne sono
citati
altri libri su di loro.
le Guide. Nel suo viaggio Claudio Visentin si affida al suggerimento e
competenza di
-
alcune
persone che incontra e che quindi ho genericamente definito “guide”. In
genere
si tratta di donne e come le fotografasse ce ne restituisce un’immagine che è
un omaggio alla femminilità e di questi tempi in cui le donne vanno
"vestite nude" come diceva una mia zia bobbiese succede che il troppo
esposto senza alcun mistero meno attragga. Delle guide incontrate dall’autore ricordo
le "basette d'argento” di una, i capelli rossi di un’altra e i bottoni
d’oro della divisa di un’altra ancora. Il suo ultimo incontro: un uomo Tony
Humbleyard che nel 2005 è diventato
proprietario di una casa di guardiani sulla costa davanti al faro di Muckle Flugga.
Ha studiato ad Halifax e poi alla Università di Highlands and Islands di
Inverness. Visitò tutte le isole della Scozia decidendo poi di trasferirsi
nelle Shetland.
E’ uno
scultore vegetariano, buddista che la mattino cammina lungo la scogliera e
nuota in
mare e trova l’inverno una stagione molto produttiva per i suoi lavori
mentre
d’estate ospita colleghi, artisti e scrittori.
Northern Lighthouse Board Istituito nel 1786 da un edificio di Edimburgo
controlla gli
-
oltre
duecento fari della Scozia. Alla domanda dell’autore “se avrà un futuro in
questo tempo
dove ogni spostamento è regolato dalla navigazione satellitare e se i fari
servano ancora?” la risposta è:
"nostro compito principale è provvedere tuttora alla sicurezza dei
naviganti c'è anche un ritorno per richieste crescenti di visite ai fari.
Alcuni sono già aperti ai visitatori.
Per concludere questa affascinante lettura l’immagine del Forth Railway Bridge il ponte
ferroviario costruito nell'ultimo
decennio dell’Ottocento di cui si diceva “dipingere il Forth Bridge, un lavoro
senza fine” in quanto a verniciatura completata poiché è lungo due chilometri e mezzo già si deve
iniziare daccapo e negli ultimi anni lo si è fatto per ventimila metri quadri di
pittura e centotrenta milioni di sterline.
Altra immagine con cui desidero finire è quella
della Sula, il più grande uccello marino delle isole britanniche che
raggiunge i due metri di apertura alare e che l'Autore descrive così: “Le sule sono bianche con la punta
delle ali nere e una sfumatura dorata nel piumaggio sul capo. Potenti e
aggressive. Quando scorgono una preda appiattiscono le ali lungo il corpo e
allungano il collo fino a diventare dei dardi viventi…Bucano la superficie del
mare a quasi cento chilometri l’ora e s’immergono fino a dodici metri di
profondità”.
Claudio Visentin
ripropone Scienza, Storia con sguardo poetico.
Piccola osservazione ad inizio libro vi è questo
motto delle isole Orcadi “Boreas domus, mare amicus”
che nella traduzione diventa “Il nord è la mia casa,
il mare mi è amico” e così scopriamo lo spreco di parole proprio del nostro
bell’Italiano.