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1)    Alberto Fazolo- Nemo, In Donbass non si passa - La resistenza antifascista alle porte d’Europa-,

   (Redstarpress, 2022 terza ristampa)

2)    Fabio Bozzo, Ucraina in fiamme, 2016 (Mattioli 1885 Srl)

3)Claudio Papini, Lo Scetticismo (rivisitazione di Giuseppe Rensi, ma non solo - De Ferrari Editore,2022) 

4) Jimmie Moglia, PUTIN MACRON BIDEN, https://youtu.be/TA1RZwJBb_U7)

3)    Franco Cardini e Fabio Mini, Ucraina La guerra e a storia, Il Fatto Quotidiano, 2022. Prefazione di Marco

  Travaglio.

5) Nicolai Lilin, PUTIN, l’ultimo zar da San Pietroburgo all’Ucraina, (Piemme 2022)

6)Paolo Rumiz, La linea dei mirtilli – reportage, (BEE Bottega Errante Edizioni, 2022)

  7)Claudio Visentin, Luci sul mare – Viaggio tra i fari della Scozia sino alle isole Orcadi e Shetland  (Ediciclo 2022)

 

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              IN DONBASS NON SI PASSA               UCRAINA IN FIAMME

          Alberto Fazolo – Nemo  (p.250)       Fabio Bozzo  (p.76, formato tascabile)                                                           

 

Ho voluto mettere a fianco questi due libri sull’Ucraina perché nella ricostruzione storica ma anche nelle conclusioni convergono, pur se quello di Alberto Fazolo nasce sul campo in quanto combatté in Donbass dal 2015 al ‘17, mentre quello di Fabio Bozzo è di uno storico, collaboratore ed attuale direttore di “Storia Verità" (Rivista trimestrale www.storiaverità.org). Bozzo conclude le sue pagine con queste parole: “non credo che il conflitto nell'Est del Paese slavo arriverà ad allagarsi, ma una ferita aperta  nel cuore del Vecchio Continente  è una ferita aperta nell’animo di tutte le persone".

Da Alberto Fazolo. (Stralci di storia recente)

Ucraina significa “terra di confine” e ripercorro un po' di storia recente, seppur del secolo scorso: “nel 1924 l'Unione Sovietica ottenne il riconoscimento della comunità internazionale (i primi due Paesi a stringere relazioni diplomatiche furono Regno Unito e Italia), perciò i suoi confini vennero riconosciuti e rispettati, tranne piccole e marginali eccezioni. Con il Patto Molotov-Ribbentrov, nel 1939 i territori contesi tra Ucraina e Polonia ricaddero nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica e vi rimasero fino all'invasione nazi-fascista dell’Unione Sovietica”.

“Il grosso della seconda guerra mondiale fu combattuto tra Germania e Unione Sovietica. La guerra causò  circa 68milioni di morti, di cui tra i 23 e i 27 milioni furono sovietici (cioè più di un terzo), i morti americani circa 413mila, gli inglesi ancora meno (un numero tra le 56 e le 65 volte inferiore).

“Gli Alleati iniziarono  ad attaccare la Germania solo dopo l’inizio della sua capitolazione, dopo la vittoria sovietica a Stalingrado”.

“Stalin propose agli Alleati di unirsi per sconfiggere il nazismo, ma la proposta che avrebbe abbreviato la guerra e salvato milioni di vite non fu accettata.

“Il 17 gennaio l’Armata Rossa liberò Varsavia, il Terzo Reich capitolò il 9 maggio 1945.

Prima della capitolazione dei nazisti le truppe ucraine inquadrate nelle SS e altri collaborazionisti avevano già avviato trattative con il Vaticano per la resa e non esser consegnati all’Unione Sovietica. Vennero inviati prima in Italia a Rimini e poi venne loro offerta la possibilità di emigrare: i più in Canada ma anche in USA a formare le comunità che oggi sono tra i maggior sostenitori dei battaglioni punitivi ucraini, eredi diretti delle SS.

Nota 1: A dispetto del nome l’Operazione Odessa, cioè il programma per garantire la fuga dei criminali nazisti non riguarda la città sul Mar Nero, ma è un acronimo per Organisation Der Ehermaligen SS-Amgehorigen (organizzazione degli ex membri delle SS che permise ai nazisti di fuggire attraverso la Svizzera con ponti aerei e in Italia via mare).

Nota 2: Nel 1954 il presidente sovietico Nikita Kruschev, che di fatto era ucraino, assegnò la penisola di Crimea all’Ucraina, senza alcuna considerazione della volontà degli abitanti, perché fino ad allora la Crimea faceva parte della Russia.

Ad agosto del 1991  in Ucraina la nomenklatura del Partito Comunista da grande sostenitore dell’Urss si trasformò in uno dei suoi peggiori avversari e l’Ucraina divenne una marionetta nelle mani dell’Occidente e con l’indipendenza venne anche cambiata la bandiera che diventò con la parte superiore blu e l’inferiore gialla. Prima era simile alla sovietica, rossa con una falce e martello gialli in alto a sinistra e in basso una striscia blu. Nel febbraio del 1994 l’Ucraina fece il primo passo per l’integrazione nella NATO, nel 1999 anno di elezioni presidenziali si rafforzò il blocco affaristico criminale che stava depredando l’Ucraina. L’oligarca del gas e del petrolio Julija Tymosenko venne nominata vice primo ministro. Nel gennaio 2001 vennero per lei i primi guai giudiziari, accusata di aver fatto contrabbando di gas con la tanto odiata Russia.

                               

 (Julija Tymoshenko: in politica il fascino aiuta come è stato in Argentina per Evita Perόn,

                           foto tratta dal libro Ucraina in fiamme)

Alcuni fatti nodali

Stralci dalla complicata storia dell’Ucraina: la Rivolta Arancione, Maidan (parola che significa piazza ed indica piazza Indipendenza la principale di Kiev), il massacro di Odessa.

1)21 novembre 2004, prima rivoluzione ucraina, o rivoluzione colorata che prese il nome di Rivoluzione Arancione, nata come movimento di protesta dopo le elezioni presidenziali con vincitore Juscenko. Venne rovesciato l’esito del voto, ma il Governo durò poco, vittima della voracità dei suoi corrotti componenti  e le nuove elezioni del 26 dicembre confermarono il risultato: Juscenko vincitore.

I Paesi in cui si sono fatte o tentate rivoluzioni colorate sono: Georgia, Cuba, Libia, Iraq, Kirghizistan, Libano, Siria, Bielorussia, Moldavia, Iran, Cina, Macedonia e altri con organizzazioni al soldo degli USA (questo secondo quanto si legge nel libro di Fazolo).

2)Maidan: rivoluzione ucraina del 2014. Per questi fatti bisogna  partire dalla genesi, appunto dal 2004 prima citato quando ci fu l’operazione di regime change, la Rivoluzione Arancione.

Quindi di nuovo nel 2013 i paesi occidentali decisero per un altro regime change dell’Ucraina. Si fomentò una protesta caratterizzata da parole d’ordine ben spendibili in Occidente (libertà, democrazia)con una connotazione ultranazionalistica e la presenza di violenti gruppi nazisti. I cecchini di Kiev sparavano indistintamente  ai manifestanti e ai poliziotti, saliva la tensione e i media chiedevano di normalizzare la situazione. Buona parte dei gruppi violenti erano stranieri di militanza nazifascista. Il modello Maidan venne replicato nel 2017 in Venezuela, dove era già fallito un modello di rivoluzione colorata.

Gli Euromaidan usavano la pratica di assassinare gli anti-maidan e poi (grazie ad una stampa internazionale compiacente raccontavano che questi erano loro membri uccisi dalla forze di polizia”.

Pensiero mio: “di fronte ad un popolo che sa così ben mistificare anche su Bucha vanno fatte indagini molto attente e imparziali e non asservite a media compiacenti”.

L’8 febbraio 2014 mobilitazioni antifasciste si tennero in tutto il Paese e si concentrarono intorno alle statue di Lenin sia per proporre i valori del passato sovietico sia per difendere i monumenti dalla furia iconoclasta dei manifestanti di Euromaidan (Euro significa Europa). Il 21 febbraio le forze di maggioranza e di opposizione si riunirono a Kiev e sembrava che l’accordo fosse raggiunto ma un movimento marginale e nazista, Pravy Sector, riuscì a far abbattere 18 statue di Lenin e altri monumenti di epoca sovietica.

Il 22 febbraio il Parlamento tradendo l’accordo siglato il giorno prima deliberò la destituzione e la richiesta d’arresto del Presidente della Repubblica che era Yanukovich.

Riflessione mia: Ho sentito le considerazioni di Bruno Vespa dopo la sua intervista a Zelensky e dice che questi farà una brutta fine. E mi sembra in linea con quanto sopra  e già accaduto

Nota 3: le 5500 statue di Lenin furono buttate giù in tre anni: durante l’Indipendenza nel 1991; durante la Rivoluzione Arancione nel 2004, durante le proteste di Euromaidan dal 2013 al 2015.

Però nell’Est e in Crimea la gente disconosce i giovani di piazza Maidan e li chiana fascisti. A Kar nel nord-est del Paese legato alla Russia, almeno tremila cittadini scesero in piazza per proteggere la statua di Lenin.

Ma frase assai vera del libro: “quando si abbatte un monumento significa che si rifiuta un pezzo di storia”.

3) il massacro di Odessa. La città di Odessa venne fondata nel 1794 dall’Impero russo nel territorio perso dall’Impero ottomano nel 1792. Nel 1819 divenne porto franco. Nel 1905 fu teatro della rivolta operaia sostenuta dall’equipaggio della corazzata Potemkin e dalla rivista leninista Iskra. La repressione operata dalla cavalleria cosacca causò centinaia di morti e fece seguito un violentissimo pogrom contro la locale comunità ebraica.

Con un salto ai tempi delle rivoluzioni recenti dell’Ucraina nel 2014 con lo scoppio delle proteste filorusse, Odessa fu teatro di sanguinosi scontri tra i sostenitori di Euromaidan e quelli filorussi.

Il 2 maggio 2014 ben 42 manifestanti filorussi morirono nell’incendio della Casa dei sindacati dopo uno scambio di bottiglie incendiarie con gli avversari.

La prassi in quel momento in cui l’Esercito ucraino aveva lanciato una dura offensiva contro le regioni del Donbass era aspettare gruppi di lavoratori isolati. Ma quel 2 maggio i nazisti assaltarono anche il presidio antistante la Casa dei Sindacati: un gruppo di antifascisti che chiedevano riforme. Quando questi capirono di non riuscire a respingere gli attaccanti si rifugiarono dentro il sindacato ma i nazisti lanciarono bombe incendiarie sull’edificio. Coloro che riuscivano a scappare venivano linciati dalla folla inferocita. Infine alcuni si rifugiarono sul tetto dell’edificio attendendo l’intervento della polizia e finalmente l’intervento dei pompieri spense le fiamme. Poi gli antifascisti vennero fatti passare in un “corridoio” di persone armate di spranghe che presero a colpirli (sembrano le antiche forche caudine romane).

Come nasce il coinvolgimento di Fazolo.

Dopo il massacro di Odessa e la feroce repressione di rivolte a Karkiv e Mariupol schiacciate sotto i cingoli dei carri armati inviati dal Governo, la popolazione di Alchevsk (uno dei maggiori centri industriali del bacino carbonifero del Donec specializzata in industria metallurgica e chimica maturò la convinzione del non farsi ammazzare in quel modo.

Un normale cittadino Aleksey Borisovich Mozgovoy fece una proposta politica: “lottare contro il fascismo e il liberismo” e su queste basi venne fondata il 14 maggio 2014 la  Brigata Prizrak di cui divenne il comandante fino al 23 maggio 2015 quando fu ucciso.

In russo Prizrak significa “fantasma”, nome scelto perché spesso i media ucraini diedero la falsa notizia dell’annientamento di questa Brigata che invece continuava a combattere.

E a proposito di nomi l’autore di questo libro, interessante e molto esaustivo, si firma come Nemo, nome di battaglia da lui scelto in sintonia con fantasma, quando entra a far parte di InterUnit che affianca la Brigata Prizrak.

Sceglie Nemo in onore all’Odissea di Omero quando Ulisse dice al ciclope Polifemo di chiamarsi così, cioè “nessuno”. E anche per il fascino di Capitan Nemo  di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne. Già da questa scelta Fazolo ci appare come un idealista ma anche forse plagiato da ricordi dai banchi di scuola. Penso al nostro Garibaldi che visse in America dal 1835 al ’48, combattendo per l’indipendenza in vari Paesi e mi sorge il dubbio che i nostri testi scolastici,  parlandoci di eroi come lui, forse influenzino troppo giovani anime candide assetate di azione. Non solo, per stare nella scelta dei nomi, il titolo del libro deriva dal “no pasaran” che era come un motto per i combattenti filorussi in Donbass.

I volontari di InterUnit venivano da Cile, Finlandia, Francia, Germania, India, Israele, Italia, Polonia, Spagna e USA. Dice al riguardo: “se in futuro dovessi ripetere un’esperienza di lotta internazionalista, ai volontari richiederei la conoscenza di una lingua comune” (questo per potersi capire e questa fu una difficoltà tra persone di lingue diverse). Il maggior numero di volontari venne dalla Spagna (di qui il concetto ribadito da Fazolo di una sintonia con la guerra civile spagnola).

Quanto ad InterUnit Fazolo ci dice che tutti erano armati di Kalashnikov, che si addestravano al poligono, e chiese con suoi compagni di essere assegnato al settore di Kirovsk perché vicino al fronte ucraino. Con i suoi compagni andò nel settore più avanzato, cioè nel villaggio di Donetsky, in cui nel periodo sovietico c’erano 15mila persone che, dopo la chiusura della miniera dove lavoravano, si ridussero  a seimila e che con la guerra sfollarono tanto che ormai allora erano rimasti 350 abitanti. Dopo pochi mesi con la stabilizzazione della linea del fronte molti ritornarono e gli abitanti divennero tremila. “La popolazione del Donbass –spiega Fazolo- ha grande cura nella realizzazione delle tombe dei propri cari per cui risparmia tutta una vita, ma allora strade e campi vicini erano disseminate di mine (su cui una persona può camminare tranquillamente, ma che esplodono sotto il peso di un carro funebre), perciò noi ad ogni funerale di civili andavamo a rimuovere le mine”. Ci parla della vita in trincea: acqua solo nelle taniche, spesso non potabile e che comunque veniva bevuta, pagliericci per dormire e topi che spesso li svegliavano graffiando i volti con le zampe. Insomma un film dell’horror e per di più da parte degli ucraini l’usanza di “taglie” cioè ricompense a chi faceva fuori o prendeva i rei di reati come “omicidio, stupro” o “spie nemiche”. Venivano esposti veri e propri manifesti per i ricercati.

Fazolo ci ridà una frase di Tolstoy: “la guerra è un omicidio organizzato” e riguardo i tribunali di guerra pensa che quello dell’Aja sia un “mezzo politico”. Infine riguardo le disciplina ci avverte che loro si comportavano da militanti e non da militari, in quanto questi obbediscono anche ad ordini sbagliati mentre una “disciplina critica” è necessario strumento di tutela.

Un problema spinoso. Che fine hanno fatto tutte le armi mandate in Ucraina?

Il 22 marzo 2017 nei pressi di Karkiv saltò in aria un grosso deposito di armi: l'esperienza insegna che quando salta in aria un arsenale e senza vittime, spesso si tratta di una messa in scena per coprire il furto di materiale militare. La pratica comune tra i militari ucraini è di sottrarre armi per venderle al mercato nero. Si stima che 1 milione di armi si trovino ora nella mani delle Milizie Popolari del Donbass che le hanno conquistate sul campo, ma mancano all’appello circa quattro milioni di armi. La mafia commercia anche in armi pesanti, che viaggiano esclusivamente via container attraverso il porto di Odessa. La mafia ucraina vende armi alle mafie europee e agli integralisti islamici.

Altro strumento bellico: la guerra informatica.

S'intende uno scontro fatto di attacchi informatici finalizzati o al sabotaggio di sistemi o all'acquisizione d'informazioni.

Le potenze mondiali come sono intervenute in questi avvenimenti?

In Italia vivono e lavorano più di 230mila ucraini.

Nel loro Paese vigevano costumi come l’appropriazione di parte del gas che veniva dalla Russia, non solo con la pulizia etnica contro i polacchi operata dai collaborazionisti nazisti vennero uccise tra le 76mila e le 106mila persone (cosa che appare dimenticata nel nuovo assetto geopolitica che si prepara dato che i polacchi hanno accolto con il cuore i profughi ucraini attuali), però  sussistono magagne endemiche come la fortissima emigrazione (vedi appunto i tanti lavoratori ucraini anche in Italia), la diffusione dell’HIV a livello degli stati africani, l’abuso di vodka, distillata in casa a chiamata samagon.

“Il Donbass – secondo Fazolo – è centro di una guerra a bassa intensità (né guerra né pace), e come tutta l’Ucraina tenta di resistere alla barbarie fascista, operata dal Governo, questo dal 2014: continuano gli omicidi politici, i casi di desaparecidos, le minoranze sono oggetto di intimidazioni,  i giornalisti vivono sotto ricatto e molti sono stati uccisi, ci sono limitazioni all’uso di internet e rastrellamenti per portare i giovani  all’ufficio arruolamento dell’Esercito”.

Tra le potenze nell’odierna guerra è chiaro che gli USA non vogliono la pace, non solo la Russia è da tempo impegnata in una disputa territoriale con il Giappone per il controllo di isole situate nell’Oceano Pacifico, dove è noto un programma americano per installarvi postazioni missilistiche.

Il decano dei cronisti di guerra, Fulvio Grimaldi, nelle attuali trasmissioni televisive, ha spesso parlato del potere invasivo dell’America che ha contribuito alla destabilizzazione di tanti Paesi, al punto che la Pax Americana si basa sull’oppressione della maggioranza del mondo.

C’è chi in Tv ricorda che noi italiani dobbiamo la nostra ricostruzione al piano Marshall, ma questo non vuol dire essere pedine del gioco politico USA se no ritorniamo alla “barzelletta del beneficato e del benefattore”, per cui il primo ad un certo punto stanco di esser sempre richiamato al dovere di riconoscenza gettò il secondo giù da un ponte.

Conclusione dal libro di Fabio Bozzo Ucraina in Fiamme dato che né Russia né Europa vogliono la terza guerra mondiale: “Il Signore del Cremlino non può permettersi una guerra economica con il Blocco Atlantico e probabilmente si accontenterà dell’accettazione del dato di fatto in Crimea. Tale accordo potrebbe anche esser suggellato da una conferenza internazionale, sotto una cappa di ipocrisia degna di Yalta: tutti i contraenti brinderanno alla ritrovata pace, Putin vedrà cessare le sanzioni e tornerà con la Crimea assicurata”.

Penso però che il disegno di Putin sia più ampio e non si fermerà fino al completamento, anche perché sa di essere anziano e mi pare abbia detto: “se non lo faccio io, chi lo farà?” Anche gli autocrati hanno il problema della successione.

 

                   LO SCETTICISMO

                Claudio Papini

 

Lo scetticismo, una virtù che potrebbe salvare da tanti guai, guerra inclusa.

(Questa è una mia riflessione, ma se prima di avventurarsi in una guerra chi può facesse esercizio di scetticismo, forse non la intraprenderebbe al di là di ogni prospettiva di ordine economico o politico.  Questa mia riflessione non ha nulla a che vedere con il libro del Prof. Papini che ha scritto in base ai  suoi interessi che abbracciano campi diversi dalla Storia e Filosofia a Scienze ed Arte

(Qui sotto la cover del libro e di fianco il timbro di tipo araldico-gentilizio che il Professore ha fatto dipingere da un amico, raffinato saluto sulle buste dei suoi messaggi).

 

         

                                                                                                             

Le trouble du philosophe  Caeruleum; aurum; gilvum; argentum

- Le repos du philosophe –                            Instantem fatum exequens instansque

-Manichini in riva a mare –                        Adversos casus secondosque regere

Giorgio De Chirico, 1926

Con la consueta chiarezza espositiva e profondità d’indagine il professor Claudio Papini ci dà un’introduzione di ben 35 pagine a suoi antichi scritti, che qui riprende, su Giuseppe Rensi. Questi nell'Apologia dello Scetticismo (1926) cita quattro versi di Mefistofele che incontra Faust, personaggio inventato da Johann Wolfgang von Goethe, nelle vesti di un clericus vagans per sottolineare riguardo il motivo scettico e  quello pessimistico l’essere due lati della stessa medaglia. Sono l’incomprensibilità e l’irrazionalità che lo scetticismo trova nel mondo e che è un disvalore di questo ed essi si fondono perfettamente insieme.

Come nasce il libro?

Papini ci spiega d’aver avuto nella biblioteca di famiglia una vecchia copia dell’opera di Rensi Lo scetticismo e voleva avviarne la ristampa con adeguato commento, però l’Introduzione che aveva preparato fu pubblicata solo nel 2010 insieme ad altri scritti che erano d’introduzione a loro volta di autori diversi. Così con questa rivisitazione adempie infine a quello che sentiva come un input cioè un desiderio, una volontà di adempiere quasi ad un dovere di studioso. E a questo punto il passo che Papini riporta, uno scritto  di Adriano Tilgher a Guglielmo Ferrero del gennaio 1923 diventa spiegazione del perché. Tilgher prevede un’accelerazione della coscienza capitalistica, mentre lui stesso è come fosse sulla riva di una lago che non riesce a risolversi ad attraversare. Quel lago infatti gli sembra un oceano in tempesta che si va facendo sempre più alta senza riva dove ripararsi o zattera su cui salire per salvezza.

Quel sentimento che in Tilgher seguì la prima guerra mondiale sembra risorgere alto anche per noi dopo più di settanta anni di pace. Nella sua lunga Introduzione Papini ci precisa con la sua “unghiata” da maestro l’importanza dello scetticismo: “l’antico che ha come padri nobili i grandi esponenti della Sofistica e quello dell’età moderna (che a quello antico s’ispira e si richiama, accogliendo sincreticamente tratti dello stoicismo e dell’epicureismo) hanno arricchito la sensibilità contemporanea e sono stati ripresi da pensatori originali e di rilievo: Pirandello, Hume, Schopenauer ed altri. Di Rensi ci dà puntuale spiegazione di vita ed opere. Nacque a Villafranca di Verona nel 1871, morì a Genova nel 1941 (quindi nella tempesta della guerra), si laureò a Roma in Giurisprudenza e poi in Filosofia. E questo me lo rende caro in quanto sono le stesse lauree che conseguì mio zio triestino, il professore Luigi Bressani). Da giovane è stato militante socialista e partecipò alle lotte del nascente movimento operaio organizzato, fu costretto a rifugiarsi in Svizzera ne 1898 e rientrò in Italia dieci anni dopo e divenne redattore-capo della rivista “Coenobium” che era stata fondata l’anno prima, nel 1911 al tempo della guerra di Libia ebbe inizio il suo distacco dall’ideologia socialista. L’esperienza di “Coenobium” è stata per lui la più profonda facendogli capire che le molte verità (filosofiche, religiose, politiche…) sono tutte vere e nello stesso tempo tutte false. La concezione scettica del Rensi è risultata efficace come vessillo e come strumento di lotta politica quando si è presentata come dichiarazione di agnosticismo e di ateismo in anni difficili della tormentata vita nazionale. La questione religiosa che nel periodo italiano che accompagna e segue la prima guerra mondiale a causa dei difficili rapporti tra lo Stato risorgimentale e la Chiesa cattolica riscontra in ambito laico una fiammata della politica intesa come religione civile.

Per dare qualche altra notizia sulla vita di Rensi, egli fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti (scritto da Benedetto Croce su invito di Giovanni Amendola nel maggio del 1925); come docente universitario si piegò a prestare giuramento nel 1931 ma nel suo insegnamento operò una forma di opposizione strisciante al fascismo che lo mise in conflitto con l’autorità politica e accademica. Nel 1934 venne allontanato dalla cattedra come già era accaduto all’esiguo numero di docenti che pochi anni prima non avevano accettato di giurare fedeltà al regime.

In quarta di copertina sono riportati alcuni pensieri di Rensi che ne denotano la sua coscienza di intellettuale e il suo orgoglio. Definisce il suo pensiero “rigorosamente unitario” e dice che la leggenda dei suoi molteplici cambiamenti è stata fatta circolare da taluni cui dà ombra il fatto che i suoi libri siano più letti dei loro. Spiega il segreto per essere letti: “Andare intrepidamente sino in fondo al proprio pensiero e di enunciare senza veli tutto ciò il proprio pensiero ci rivela e quasi senza o contro nostra voglia ci costringe a vedere”.

Il libro di Papini si addentra nella definizione di Vero, Buono e Giusto, Bello.

“Il Vero è ciò che è riconosciuto come tale dalla ragione, ciò perché è necessario", ma questa enunciazione programmatica, si disfa quasi subito in quanto non esiste nessun criterio di demarcazione tra vero/falso. E cos’è la vera ragione? Quando gli esseri umani sono tutti diversamente pensanti… Non solo se consideriamo il Bene, questo per gli Stoici consiste nell’atteggiamento saggio, razionale del nostro io e nell’appagarsi di tale atteggiamento del nostro io sta la felicità. Ma solo un paio di pagine più avanti Papini ci spiazza citando Lutero che per i credenti della sua religione ei eleva alla grandezza della santità e che disse: “Quei che non ama il vin, le donne, il canto,/ Mena da stolto il viver tutto quanto”. Osserva Papini: “Abbiamo qui una ragione che designa come stoltezza quella completa sottoposizione degli affetti che è ragione per gli Stoici”.

In breve il Professore, forte di una vasta cultura che spazia in diversi campi e dotato di uno spirito che sembra essersi corroborato nella soluzione di quiz della Settimana Enigmistica, i più difficili certo, sembra divertirsi nel condurci attraverso i suoi stringenti ragionamenti e ci lascia attoniti, anche un po’ sconfortati per la nostra insipienza, per non aver saputo pensare abbastanza e soprattutto il non aver pensato bene, saggiamente.

A nostra consolazione a fine libro la storia dello scetticismo dall’antichità all’età moderna e contemporanea con un ultimo capitolo dedicato all’affermarsi dello scetticismo in Italia (dal Rinascimento alla Controriforma e dalla Controriforma ai giorni nostri). Con nostra consolazione incontriamo queste parole: “La storia umana è caso e ripetizione, caso il suo svolgimento, le invenzioni, la determinazione di grandezza nelle figure storiche o nelle produzioni d'arte. Non esiste né un Bello (ed è stato molto interessante a questo riguardo l’introduzione del concetto di piacere che sembra assecondare il detto proverbiale: “non è bello ciò che è bello ma ciò che piace”)  né un Bene in sé; ma il giudizio dell’uno e dell’altro sorge in modo qua e là diverso per l’opera del fatto esterno dell’adattamento dell’abito, dell’”assuefazione”. Infatti in una precedente pagina esemplare (la 89) Papini osserva che il bello e il brutto non hanno esistenza reale, ma sono opinioni che gli uomini “prendono”, tant’è vero che il bello varia da paese a paese, ma anche da persona a persona. Per poter giudicare del Bello bisogna esser competenti, cioè educarsi e per poter educarsi e rendersi competenti bisogna accettare come modelli di Bello quelle opere o quelle cose su cui il giudizio di Bello deve esprimersi. E’ naturale quindi che la coercizione esercitata dall’assuefazione dell’educazione faccia trovar belle quelle cose e produzioni che diventano il modello insieme e l’oggetto del giudizio. Si pensi al discorso sull’arte, a come si sia passati dal considerare quanto meno strani e poi originali e splendidi i volti con occhi ravvicinati e le bocche sproporzionate di Picasso (che comunicano intenso dolore) o i cubi di Le Corbusier che vorrebbero avvicinarci ad un’edilizia per tutti.

In breve il Vero il Bello il Bene non sono assoluti, cioè universalmente e necessariamente validi: insomma ci sono solo i vari Veri, Belli, Beni. Quindi il giudizio estetico per essere puro dovrebbe basarsi al tempo stesso su ignoranza e cultura. Sull0ignoranza per non sottostare alla tirannide esercitata dalla “fama”, cioè dall’assuefazione, sulla cultura per poter diventare “competenti” nell’emettere un giudizio. Non a caso ci viene in soccorso Leopardi con questi versi: “Più ti va lungi l’occhio del pensiero/ più presso viene quello che tu fissi:/ ombra e mistero”.

Non solo riguardo lo scetticismo in Italia il Professore ci ricorda che “si formula nettamente col Petrarca e indice della sua indole scettica è già il suo appassionato amore per Cicerone. Questi apparteneva alla “scettica accademica” e rimase quasi il solo grande rappresentante del pensiero filosofico di Roma nel periodo aureo. Ed ancora una volta si rende evidente che la storia del pensiero umano segue nei secoli un filo che lo trascina e rinnova e passa per un ordito intessuto da aurei pensatori.

Non solo guardare alle cose e ai fatti con un pizzico di sano scetticismo diventa una virtù che ci può salvare da rovinose cadute.

 

 

                                PUTIN MACRON BIDEN

                                          Jimmie Moglia

 

                                                 https://youtu.be/TA1RZwJBb_U

 

   

Questa prima immagine è riferita al sito dell’ingegner Moglia con titolo da un suo libro di citazioni scespiriane che ha avuto fortuna: Our Daily Shakespeare

Cliccando sul link premesso, potete ascoltare direttamente l’ingegnere, che nella sua casa di Portland si è costituito uno studio televisivo e che è appassionato di storia e profondo conoscitore in questo campo.

Da pagina n.6 del mio sito precedente mlbressani/wixsite.com/marialuisabressani, intitolata “Dante e Jimmie, Larcher, Alberti” ricordo queste tre persone per cui fui contattata dall’estero. In quel sito avevo sperimentato la pagina colorata dato che il libro nacque colorato e mi ero invaghita di questa idea: perciò  conservo così, a colori, questi stralci.

 

2012: Jimmie Moglia, che da 40 anni vive a Portland in Oregon, mi ha contattato avendo trovato su Internet un mio articolo in cui parlavo del mio liceo classico D'Oria a Genova e del prof. Emanuele Gennaro  che vi aveva insegnato storia e filosofia. Gennaro era  stato l'inventore della Pittura Filosofica su cui presentò a Milano nel '1959 un Manifesto. Moglia che aveva frequentato lo stesso liceo ma non ci conoscemmo perché  ha qualche anno più di me e soprattutto si prese la maturità a 17 anni cioè prima che io entrassi al liceo (e dato che allora i rapporti tra studenti erano comunque improntati alla timidezza e separatezza forse non ci saremmo comunque conosciuti) desiderava avere qualche testo o immagine dei quadri del professore. Pensava di riscontrarvi nella trasposizione simbolica di idee in pittura un metodo analogo a quello da lui seguito per il suo Metodo per la memoria (cui tiene moltissimo e che consiste in cartoline mentali che ognuno si costruisce ma un po' rassomigliano alle “Statue” nella Retorica di Cicerone, quelle che servivano a riattizzare un'idea da ricordare, nel caso di Moglia però la cerca d'immagini avviene con l'ausilio di Internet). Non mi dilungo perché su Moglia molto si trova su Internet: il mio articolo a suo riguardo aveva come titolo: “Dante e Jimmie, 3500 modi di cavarsela con Dante” ( Il Nostro Dante Quotidiano è un libro di citazioni dantesche )

La seconda persona per cui sono stata cercata dall'Inghilterra è una brava dottoressa Marina Larcher e l'ho messa io in contatto con quel signore che cercava ragguagli maggiori sulla sua tesi sui mulini della valle del Nervi e sulla Colonna infame che è nella valle del torrente Nervi.

La seconda tesi specialistica di laurea di Marina Larcher (2009/10) riguardò come riportare a splendore fiorito il Parco Luxoro, quarto parco di Nervi, che è soprannominata la piccola Versailles perché ha per l’appunto quattro Parchi con quattro Musei. Larcher stessa  mi venne poi a trovare a casa per farmi dono della sua tesi e constatai che oltre ad essere così  brava è anche una bellissima ragazza e conservo quel suo lavoro in uno scomparto privilegiato della mia biblioteca, dedicato ai miei affetti.

Il terzo articolo (2014) che inserisco riguarda Alberto Alberti che fondò la neurochirurgia a Buenos Aires ma che soggiornò a fine Ottocento in Viale delle Palme a Nervi, allora denominato Viale Vittorio Emanuele. Luciano Basso, direttore alle pagine di Genova e Liguria del Giornale, mi aveva incaricata di far sapere ad un suo amico trentino, Giovanni Petrolli, in che villa del Viale avesse abitato il neurochirurgo. L'amico, fratello di un musicofilo come era anche Basso e che aveva già scritto allora  un libro su Maria Callas, in quel momento si dedicava alla ricerca sull'Alberti per uno studio intrapreso da un signore argentino di nome Crocco. Ma non venni a capo di nulla, però incontrai per strada Eros Chiasserini, un navigante che andato in pensione si era dedicato a studi sulla sua terra nerviese. Gli chiesi come sarebbe venuto a capo lui di questa mia  ricerca. "Semplicissimo - mi rispose -. Lei mi ha detto che Alberti nel 1896 ebbe una figlia, Laurita: allora le donne partorivano in casa e le basta andare all'anagrafe storica che è qui in Nervi".

Seguono vari sviluppi alla ricerca e il commento al libro che  Giovanni Petrolli scrisse sull'Alberti e alla domanda dove avesse lavorato a Nervi il neurochirurgo ha risposto lo psichiatra Paolo Peloso (v. alla pagina”Cultura e sociale”  sempre di quel mio sito citato, il mio articolo "Al Lyceum un libro importante: Storia della psichiatria a Genova").

 

 

 

 

       Ucraina La guerra e la storia

          Franco Cardini e Fabio Mini

         (prefazione di Marco Travaglio)

 

              

 

Talvolta uno storico di lunga navigazione può lasciarsi sfuggire ciò che pensa davvero prima d’introdurci all’analisi completa e approfondita dei fatti. Ed è ciò che ha detto Cardini a proposito di Biden, cioè “il farfuglione” e a proposito di Zelenski “il guitto”. Di ciò dobbiamo essergli grati e non tentare di spulciarlo come ha fatto Lilli Gruber ad “Otto e mezzo” a proposito del leader ucraino. Queste parole ci danno già il polso della situazione prima di addentrarci nella storia tanto più che l’attuale conflitto tra Russia e Ucraina è una guerra per procura come è stata definita tra Biden e Putin. Biden in cerca di ricuperare lo scacco del ritiro dall’Afghanistan e Putin che tira dritto verso i propri obiettivi come la conquista completa del Donbass dove dal 2014 è in atto una guerra civile con il massacro della popolazione che si sente più russa nel cuore (13mila gli assassinati dagli ucraini).

Quando Montanelli lanciò il giovane giornalista Marco Travaglio mi meravigliai, mentre oggi capisco la lungimiranza del grande giornalista Indro perché Travaglio ha quello spirito che si riscontrava nei “Controcorrente” de il Giornale.

Dalla Prefazione di Travaglio: “A scrivere questo libro sono Franco Cardini e Fabio Mini, uno storico e un generale che manifestano una prodigiosa quanto rara immunità del nuovo terrificante contagio. L’immunità che deriva da una tripla dose di vaccino: competenza, libertà di pensiero e spirito critico”. E in chiusura di prefazione mette queste parole. “In Ucraina alla rappresentazione dualistica tra invasi e invasori, dovremmo aggiungere un terzo elemento: gli invasati”.

Spiega: “Gli analisti militari erano d'accordo che Putin non volesse annettersi l’intera Ucraina (in gran parte ferocemente antirussa, per giunta economicamente semifallita già prima della guerra, dunque difficile da mantenere e sconveniente da annettere), ma ingoiarsi il Donbass (russofono, russofilo e ricco di materie prime) e annettersi piuttosto il corridoio sul Mar Nero che lo collega alla Crimea…La lunga marcia della colonna di tank su Kiev era un diversivo, una minaccia per trattare da posizioni di forza”.

… “Invece per convincerci a diventare i Tafazzi di noi stessi, con sanzioni che danneggiano più noi che la Russia... con un'escalation militare che ci rende cobelligeranti… dovevamo assecondare il disegno di Joe Biden  che per far dimenticare l’ignominiosa fuga dall’Afghanistan vuole rifilare a noi e ai Paesi Ue il suo gas liquido, inquinante scadente e costoso al posto di quello russo.

“Il caso ‘clinico’ italiano è emblematico in quanto caricaturale (noi siamo capaci di trasformare in farsa qualsiasi tragedia) perché un’università e vari teatri hanno bandito col foglio di via Dostoevskij e Čajkovskij, russi dunque putiniani” e uno dei migliori direttori d’orchestra del mondo, russo e amico di Putin, e il fotografo Alexander Gronsky s’è visto cancellare l’invito al festival ‘Fotografia Europea 2022’ di Reggio Emilia perché russo… Non solo, lo studioso di fama internazionale Alessandro Orsini, dopo aver mostrato una cartina geografica delle forze in campo ed aver detto che l’esito della guerra era già segnato dalla sproporzione delle forze in campo, è stato censurato dal Messaggero ed ammonito dalla sua Università, la Luiss, e si è visto stracciare un contrattino di collaborazione alla Rai… Il tutto in nome di dei valori ‘liberaldemcoratici’ minacciati da Putin e difesi da chi sogna una società fondata sul pensiero unico e depurata dal dissenso.

“E’ stata stilata una sorta di lista di proscrizione in nome di questi nostri valori che ha incluso Barbara Spinelli, Luciano Canfora, Lucio Cracciolo”.

Continua Travaglio: “Resta da spiegare perché l’Italia non abbia inviato armi ai numerosi popoli aggrediti negli ultimo trent’anni dai serbi agli afgani, agli iracheni, ai somali, ai libici… e anzi abbia sempre collaborato con gli aggressori”.

L’unghiata del leone del giornalista (lui non ha bisogno della zampata) arriva quando dice: “Joe Biden ha dato del macellaio e del genocida a Putin, quando lui stesso è padrone della macelleria che ha fatto molte più guerre e molti più morti di Putin e al massimo potrebbe assumere Putin come garzone.”

Però Travaglio non mistifica la verità e a proposito di Putin che voleva denazificare l’Ucraina, osserva che usa bombe e carri armati, cioè gli stessi metodi con cui Hitler nazificava l’Europa, e commenta che se per Eschilo la prima vittima della guerra è la verità, la seconda è certo la logica. Osserva ancora che la Nato è un’alleanza difensiva ma nella sua storia ha aggredito mezzo mondo, che la Nato difende i valori della democrazia ma tra i suoi soci vanta la Turchia di Erdoğan ed ha appena fomentato un golpettino in Pakistan per cacciare un premier non gradito.

Franco Cardini: Drôle de guerre

Titolo scelto dallo storico ad indicare la “stranezza” di questa guerra ma che si può anche metaforicamente leggere come “trappola”, come una trappola in cui sarebbe stato trascinato Putin stesso: titolo che è comunque accompagnato da un’esplicativa frase di Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano: “…In ogni conflitto tra il fanatismo e il buon senso è raro che quest’ultimo prevalga”.

La spiegazione del titolo arriva puntuale al capitolo “Ma chi è caduto nella “trappola di Tucidide?” Infatti nel febbraio scorso Putin potrebbe esser caduto in una ben congegnata trappola Usa-Nato a causa anche di notizie imprecise fornitegli dai suoi servizi segreti. Credeva in  un rapido blitz tra fiori e bandiere dei “russofoni irredenti” mentre si è trovato un Paese armato fino ai denti dal mondo occidentale, ben provvisto di consiglieri militari (per quanto solo i britannici abbiano ammesso ufficialmente di averne inviati alcuni) ed è scattata la trappola di Tucidide che consiste nel fatto di una grande potenza in decadenza la quale ritiene di poter arrestare il declino assalendo una potenza subordinata. Accadde agli ateniesi con Delo, evento che fu la causa della “guerra del Peloponneso”. Dietro Delo c’era la grande Sparta. L’Atene-Russia va contro la fragile Delo-Ucraina però sorge spontanea una domanda: “non è che l’Atene-Usa desiderosa di strangolare la Delo-Russia non sia caduta a sua volta nella trappola Sparta-Cina e troppo tardi si sia accorta di aver cementato l’alleanza fra le due potenze Russia e Cina? Chi dunque è finito in trappola? Commenta Cardini: “Lo vedremo nei prossimi mesi, perché a dirla con Marco Antonio di Shakespeare, il misfatto è ormai combinato”.

La vergogna o ignoranza dei commentatori televisivi o dei politici su questa guerra è che continuano a cantarci che c’è un aggressore (Putin) e un aggredito (l’Ucraina). Partono solo dall’invasione ma in Ucraina nel 2014 ci fu un colpo di mano ucraino in funzione antirussa, cioè l’accordo tra l’Ue e l’allora nuovo premier ucraino Porošhenko che nelle intenzioni preludeva all’ingresso del nuovo Stato slavo nella Ue e di lì a poco l’allargamento del fronte missilistico della Nato in contraddizione con gli impegni presi dal 1991.

Osservazione di Cardini: “Oggi ci si meraviglia se un primo passo verso una pace lontana è stato intrapreso con la mediazione di tre dittatori: Putin, XiJinping ed Erdoğan. Sottolinea pure come gli occidentali seguano uno strano metodo nel definire i dittatori: ad esempio l’iracheno Saddam Hussein tale non era considerato negli anni Ottanta quando massacrava gli avversari, gasava i curdi e bombardava gli iraniani sotto il benevolo sguardo di Kissinger che lo definiva “il presidente del sorriso”, ma fu promosso a dittatore, anzi a nuovo Hitler negli anni Novanta e i primi del 2000 quando se la prese con il Kuwait e con Israele nostri alleati e allora fu accusato del possesso di armi di distruzione di massa (bugia di George W. Bush e di Toni Blair), guerra che costò migliaia di morti.

Commenta Cardini: “ la guerra in Iraq nel 2003 fatta dagli Usa e dai loro complici, come quella di due anni prima contro l’Afghanistan fu aggressione proprio come quella di Putin ai danni dell’Ucraina. Con dolente ironia fa osservare che però allora nessuno parlò di crimini di guerra, né si mosse alcuna Corte dell’Aja e i nostri media allora non ci mostrarono bambini colpiti da spezzoni d’armi o vecchiette sofferenti, generi dei quali a Kabul e Baghdad c’era penuria mentre oggi abbondano tra Kiev, Mariupol e Leopoli. E questa è disinformatio.

“Putin – dice il Professore – è obiettivamente un aggressore, ma aveva invitato più volte – l’ultima nel dicembre 2021 – il governo statunitense a desistere dal progetto di allargamento della Nato a oriente e dall’ostinazione a coprire i nazionalisti ucraini che uccidevano, e bombardavano i loro compatrioti definiti con disprezzo filorussi o russi residenti nel Donbass”.

Osserva però il Professore a proposito di Zelensky, che per europeo e occidentale che si possa considerare non è né l’uno né l’altro e non ha capito che qualunque occidentale da Biden fino all’ultimo ragazzino cliente di un McDonald’s è men che meno disposto a rischiare una guerra.“Da noi si è pronti a combattere contro i russi, ma solo fino all’ultimo ucraino, cioè per procura, per interposto popolo”.

Conclude il saggio di Cardini con un capitolo dove ritorna il concetto di trappola dal titolo “L’errore obbligato di Putin, ovvero la caduta in una trappola inevitabile”. La trappola tesa dagli americani a Putin è consistita nell’obbligarlo a scegliere un’azione militare che gli avrebbe fatto guadagnare il titolo di aggressore ed un’immobilità letale per le sue funzioni e il suo prestigio. Putin ha avuto la sorpresa di trovarsi un Paese sostanzialmente già membro della Nato; non solo tre quarti di secolo di americanizzazione  a tutti i livelli hanno dato frutti. “Ribellarsi: ecco la nobiltà dello schiavo” affermava Nietzsche ma gli europei e soprattutto gli italiani hanno dimostrato in questo frangente di essere “schiavi ignobili”.

Fabio Mini. Proprio le pagine del generale Fabio Mini, già capo di Stato maggiore del Comando Nato per il Sud Europa (operazioni dei Balcani, operazioni di pace in Kosovo), autore di libri come Perché siamo così ipocriti sulla guerra? e Mediterraneo in guerra. Atlante politico di un mare, ci ricordano quale sia stato il legame nostro con la Russia. Questa ha sentito il nostro schierarsi dalla parte di Kiev con delusione e rabbia per un “tradimento”.

Mini ci ricorda come la Russia trabocchi d’amore per il nostro Paese del sole e del bel canto. I russi già dell’epoca zarista, (e ci ricorda le immagini di Karl Friederich Schimkel dedicate al palazzo della zarina a Oriunda lungo la costa del mar Nero e ancora  La signora dal cagnolino di Josif Chejfic), vedevano la Crimea come una sorta di promontorio amalfitano. Noi e loro, i russi, siamo “fratelli di vino, di limone e di melone”, il mandolino è quasi gemello della balalaika (di cui io ricordo una bella canzone di Natalino Otto che recitava “Suona Balalaika/ tutte le stelle sono ancor lassù/, è stato un sogno che non torna più”), Mini conclude questa sua appassionata pagina che premette alle sue considerazioni con un “Vergogna! Dal momento che sapevamo bene, compiendo l’atto di guerra dell’invio delle armi all’Ucraina, che la diplomazia russa non era in grado di reagire adeguatamente dato che noi siamo protetti dallo scudo Nato. “Abbiamo  perfino fatto la parte delle vergini offese quando ci è pervenuta da parte russa notizia del disprezzo con cui giustamente venivamo ripagati”.

Più modestamente voglio ricordare che nella località dove vivo a Nervi di Genova nella seconda metà dell’Ottocento arrivarono i primi stranieri: gli inglesi seguiti da svizzeri e tedeschi. Nel palazzo dei marchesi Crosa in via Capolungo sorse lo Schickert’s Park Hotel e nell’edificio contiguo s’insediò la Pensione Russa. Non a caso l’edificio più caratteristico della passeggiata a mare avrebbe ora un proprietario russo anche se purtroppo i lavori di ristrutturazione sono fermi, ma sui pannelli fuori dell’edificio campeggiano due grosse “Z” e la scritta “non si mandano armi agli ucraini”. A Nervi soggiornò il russo Anton Cechov  autore del giardino dei ciliegi e sulla passeggiata a mare c’è una targa per Anna Achmatova di cui Modigliani ha lasciato splendido ritratto.

Da comandante che ha operato in guerra Mini ci fa osservare che “i russi, nonostante il controllo quasi totale dell’aria, hanno risparmiato tutte le città del resto dell’Ucraina, incluso Leopoli (centro di smistamento dei profughi), e Dnipro (il polo industriale militare più importante che ha fornito carri armati e missili a tutta l’Unione Sovietica). Hanno risparmiato Kiev, pur circondandola”. E’ una lettura altamente diversa da quella che ci propinano ogni giorno i media.

Quanto agli oligarchi e alle sanzioni ci fa considerare realisticamente che le ricchezze bloccate a questi personaggi finiranno nel cassetto di altri oligarchi e profittatori anche occidentali.

Ma voglio chiudere con le sue considerazioni su Buča e Kramators’k. Premette. “Se un Paese si volesse definire democratico, l’informazione oltre alle notizie fabbricate dalla propaganda dovrebbe fornire valutazioni e commenti su tutti i fatti e le versioni in modo che gli ascoltatori o lettori possano farsi liberamente la propria opinione. E poiché siamo in guerra, checché se ne dica, il regolamento Ue è censura di guerra”.

Buča. – Sempre con parole del generale: “I corpi straziati anche da evidenti segni di tortura erano ammassati non si sa da chi e nemmeno quando e perché, ma da subito addebitati come ‘genocidio’ alla Russia. Le fosse erano collegate ad altri cadaveri lasciati lungo una strada ma anche questi di incerta causa e provenienza”.

Kramators’k. - Il missile che ne ha colpito la stazione è sovietico e a rilascio di bombe a grappoli, ma non è quello individuato da Kiev come Iskander bensì più vecchio, un Točka-U radiato dalla Russia nel 2020, ma ancora usato sia dagli ucraini che dai separatisti russi del Donbass. La frase “per i bambini” era usata dall’esercito ucraino sui razzi lanciati contro i separatisti fin dal 2014.

Non solo per Buča la frase del cancelliere Scholz “non si faranno sconti a nessuno”, considerato che finora alla Russia non è stato scontato niente e all’Ucraina tutto, non è un invito alla giustizia quanto piuttosto un monito a chi si sospetta abbia ordito un macabro piano.

Questo è accertamento? I testimoni veri, i corpi, vengono trasportati altrove, in questi casi la cosa più seria sarebbe la messa in sicurezza di tutta l’area, l’intervento di specialisti del crimine, il recupero e conservazione dei cadaveri, l’indagine immediata da parte di giudici forensi. Ogni compromissione delle procedure - inclusa la fretta - riesce anche a far tacere i cadaveri.

Conclude il generale con un’analisi del demografo tedesco Gunnar Heinson sulla quantità di giovani spendibili in guerra perché senza lavoro e senza prospettive. Afaghanistan e Pakistan sono in testa alla graduatoria con 38 milioni di ragazzi, segue l’Iraq con 5,5 milioni di ragazzi. Questi Stati come altri d’Africa si trovano in boom demografico, gli Usa sono in neutralità, Russia e Cina prossimi alla capitolazione, Gran Bretagna, Germania e Italia in capitolazione avanzata. Molti Paesi non incentivano l’immigrazione dai Paesi in boom demografico, ma gran Bretagna, Usa e Nuova Zelanda, Canada e Irlanda da decenni favoriscono l’immigrazione da Ucraina, Polonia, Australia e Paesi baltici che sono già in capitolazione.

Non solo dato che le donne in Ucraina sono quelle che emigrano di più con i bambini, sono generazioni che si perdono per quando il Paese ne avrà più bisogno. Non solo pochi Paesi al mondo valorizzano l’immigrazione attuando un’integrazione ed emancipazione economica e sociale. Si contano sulle dita di una mano i Paesi nei quali gli immigrati degli ultimi trent’anni, nonostante il pallore della pelle e l’istruzione, sono riusciti a superare il rango di lavapiatti e badanti.

Conclude il generale con un’osservazione: “L’orologio dell’apocalisse nucleare è a meno di cento secondi ed è adesso che bisogna fermare la guerra con la ragione, possibilmente salvando tutta l’Europa, Ucraina e Russia incluse”.

Chi conosce la guerra sa quanto sia importante per la pace arrivare ad un compromesso tra le parti, perché chi conosce la guerra ha visto sangue, orrori e tanti, tanti morti.

A fine di questo libro, prezioso per capire, una quarantina di pagine con il riepilogo, in date e anni delle vicende europee e in particolare di Russia e Ucraina dalla caduta del muro dei Berlino, il 9 novembre 1989. E sembra sia avvenuto anni luce or sono.

 

 

                      PUTIN

                   L’ultimo Zar

       Da San Pietroburgo all’Ucraina

               Nicolai Lilin

 

         

Lilin ha assunto questo nome d’arte in omaggio alla madre Lilia, è nato nel 1980 in Transnistria, oggi Repubblica Moldava che però allora era Unione Sovietica. Ha scritto nove libri di cui Educazione siberiana (2009 Einaudi) è diventato film con Gabriele Salvatores. Ha studiato i tatuaggi della tradizione criminale siberiana ed ha un laboratorio artistico a Milano, il Kolima Art Studio, e li ha esposti alla Triennale di Milano e al Castello di Susans e al Museo del Novecento. Ha combattuto nella Seconda guerra cecena. Ha due figlie. Ha avuto la cittadinanza italiana e gli preme però far capire come sia diversa la mentalità russa dalla nostra. Per far vedere quanto siano artistici i suoi tatuaggi ne riporto due e le cover del libro Storie sulla pelle (edito Einaudi).

 

                 

 

Questo libro di Lilin è un’epopea:

-Della Russia. Cita una frase di Nicolaj Gogol ne Le anime morte. Lo scrittore paragonò l’Impero dello zar alla slitta trascinata dalla trojka di cavalli: ‹‹Russia dove mai voli tu? Rispondi. Non risponde. Stupendo lo squillo si spande dalle sonagliere, rimbomba e si muta in vento l’aria squarciata; vola indietro tutto quanto è sulla terra, e schivandola si fanno in disparte e le danno la strada gli altri popoli e le altre nazioni››.

-Di Putin.

Ma prima desidero evidenziare dal libro qualche tratto biografico di Lilin.

-Lilin.

L’Autore ricorda suo nonno Boris, un vecchio criminale siberiano che gli inculca pensieri di onestà e rispetto come quando commenta una frase di Putin a proposito dei terroristi ceceni in una delle sue prime dichiarazioni pubbliche: “Li bagneremo anche sul cesso". Nonno commentò: “Siamo all'Apocalisse il capo degli sbirri parla come un criminale".

Ma per Putin era un modo per farsi capire subito perché il termine bagnare, Mochit, proviene dal gergo di strada criminale. Risale al tempi della costruzione di San Pietroburgo, quando su ordine di Pietro il Grande i criminali vennero utilizzati come manodopera di basso livello, lavorando nelle paludi per creare isole di terraferma su cui edificare. Questi forzati non avevano possibilità alcuna di seppellire i morti e li gettavano nella palude e così il verbo “bagnare” divenne lì sinonimo di “seppellire”.

Lilin ricorda anche sua madre, fervida comunista, che gli fece capire “come Anatolij Sobchak che era stato all’Università professore di Putin e poi si era messo in politica (e alla morte fu ricordato da Putin con parole di elogio come “persona per bene, onesta, brillante, talentuoso, aperto”)  fosse stato invece “uno sprovveduto visionario della politica, sfruttato e poi fatto fuori dai ladri della nomenclatura, coloro che prima derubarono le ricchezze accumulate dall’Urss e poi presero il potere come oligarchi privati". La lezione politica materna fu data a Lilin durante un trasloco mentre lo costringeva a trasportare la sua raccolta di testi di grandi ideologi del comunismo e così gli fece anche capire “il peso” dei pensieri di Lenin. Quel trasloco infatti gli risultò davvero pesante ma fu comunque utilizzato dalla madre come un momento educativo.

Lilin ricorda un episodio di quando era bambino e, caduto il muro di Berlino, Putin tornava a Leningrado molto depresso dopo il suo incarico in Germania, quel momento non era migliore per Lilin stesso. Racconta: “Ricordo, bambino a fine anni ottanta, gli scaffali vuoti, in certi giorni si trovavano solo barattoli di alghe del Mare del Nord in salamoia. Bisognava arrivare diverse ore prima dell’apertura del negozio e qualcuno prendeva posizione alle tre del mattino e teneva il posto per tutto il palazzo. Una volta durante una di queste file interminabili, debole e denutrito, finii per svenire; quando mi rialzai una signora mi diede un pezzo di pane e mi disse qualche parola di conforto. Era come se fossimo in guerra".

Sono pochi ed essenziali i ricordi autobiografici che Lilin inserisce nel libro ed è molto importante il pensiero con cui chiude queste pagine che riguarda la grandezza militare della Russia ma anche la sua povertà in altri campi. Parla così della generazione di coloro che sono stati giovani come lui ora quarantenne: “Siamo stato i primi a subire le pesanti conseguenze della droga, delle ideologie estremiste, del terrorismo. Con le armi in mano ci siamo arruolati tra le file dell’esercito nelle montagne del Caucaso a dare la caccia ai terroristi internazionali arrivati lì da ogni dove con i quali però avevamo due cose in comune: la provenienza dalle classi sociali basse e spesso anche l’età…. L’inizio della presidenza di Putin per noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare delle nostre vite… Abbiamo imparato a rispettarlo e creduto ciecamente nella sua visione del futuro. Però sono passati vent’anni e abbiamo famiglie. I notiziari della Tv russa ci raccontano dell’ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito ma nella striscia in basso sullo schermo si legge che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di un malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare e viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bimbo negli Usa o in Germania, dove potrà essere curato. E allora qualcosa si rompe in me e prendo coscienza di appartenere ad una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti dal potere che governano la mia patria”.

 

L’epopea di Putin


Per capire un uomo bisogna sempre risalire alle sue radici familiari e così è anche per Putin.

Putin nacque il 7 ottobre 1952 in un piccolo monolocale in una delle tante case comunali del vicolo Bashov di Leningrado, oggi chiamata la capitale del Nord e che è San Pietroburgo. I suoi genitori si erano sposati entrambi diciassettenni. Il padre lavorava come fabbro alla catena di montaggio dei telai nella fabbrica di Egorov dove si costruivano vagoni ferroviari; la madre Maria lavorava in fabbrica ma dopo la nascita del bimbo e dopo che erano morti i suoi due precedenti fratellini era stata assunta tra gli “spazzini”, come in Russia si chiamano i custodi che tengono in ordine palazzi e cortili.

I suoi bisnonni erano “servi della gleba" (istituto che fu abolito e molti contadini si trasferirono nelle città per lavorare nelle fabbriche).

(Inciso: La servitù della gleba che in epoca romana era stata colonato, fu figura giuridica molto diffusa nel Medioevo e legava il contadino ad un determinato terreno – gleba in latino significa zolla di terra - e indicava una figura a metà tra lo schiavo e l'uomo libero)

Il nonno paterno di Putin, Spiridon, era stato inviato dalla famiglia a San Pietroburgo per imparare il mestiere di cuoco ed iniziò a lavorare nei migliori ristoranti dove la clientela apparteneva alla nobiltà e all'alta borghesia. Guadagnava fino a cento rubli d'oro al mese cioè una somma inimmaginabile per chi proveniva dagli strati umili della società. E una sera dal suo ristorante passò anche Rasputin.

Con l’inizio della Grande Guerra Spiridon venne arruolato in fanteria, si avvicinò all’ideologia comunista diffondendo manifesti di propaganda tra le truppe, attività che nell'esercito zarista veniva punita con la fucilazione. Un giorno si trovò faccia a faccia con un soldato austriaco e gli sparò ma quando lo vide a terra urlante di dolore, lo medicò e l’aiuto a ritornare tra i suoi.

All’inizio del secolo scorso ogni nascita rappresentava una risorsa per la sopravvivenza della comunità e le radici familiari dei Putin, rintracciate nei registri della chiesa del suo villaggio, risalgono ai tempi dello zar Pietro il Grande, a trecento anni or sono. E Putin lo ricordò in un incontro con giornalisti americani sottolineando che a quei tempi gli Usa non esistevano ancora ed in questo consisteva la loro principale differenza.

Quando la Germania nazista trascinò la Russia in guerra, la maggioranza dei russi ritenevano che la guerra sarebbe finita in una settimana con la vittoria sulla Germania di Hitler. Stalin ignorò gli evidenti segnali dell’invasione da parte della Germania (cosa che costò all’Urss decine di milioni di vite, ma ripudiando le sue precedenti simpatie per Hitler, tornato al Cremlino in un discorso alla radio ricordò il glorioso passato della Russia (zarista) che aveva sempre sconfitto gli invasori e dopo quel discorso ci fu un numero record di arruolamenti volontari nell’esercito tra cui il padre di Putin. Durante un’operazione di monitoraggio dei nemici, un gruppo di soldati sovietici finì in un'imboscata e tra i quattro sopravvissuti che ritornarono attraverso le paludi portando preziose informazioni c’era appunto il padre di Putin. In un giorno d’inverno del 1942  fu mandato verso postazioni nemiche per catturare un prigioniero, però i tedeschi li individuarono e Putin padre fu ferito alle gambe. Sarebbe morto dissanguato, ma uno dei commilitoni che era un suo vicino di casa lo riconobbe, se lo caricò in spalla e percorrendo a zig zag il ghiaccio della Neva lo portò in salvo.

Seguono notizie agghiaccianti su quel periodo di guerra e di carestia e il padre di Putin fu ricoverato all’ospedale militare; la moglie Maria riuscì a rintracciarlo ma era così debole e sfinita che il marito le passava parte della propria razione di cibo, cosa proibita e considerata come un furto di una proprietà dello stato e quindi punibile con la fucilazione. Però lui stesso divenne così smagrito e debole che i medici, scoperta la causa, impedirono i contatti tra i due sposi. Quando Putin padre fu dimesso si mise a cercare la moglie e giunto davanti casa vide la vettura del servizio sanitario della città che ogni giorno faceva il giro a prendere i cadaveri dei morti durante la notte, che venivano addossati al muro del cortile. Tra questi riconosce la moglie ma, avvicinatosi per stringerla un’ultima volta, si accorge che respira e lo urla ad uno dei sanitari, il quale gli risponde che tanto non sopravviverà a lungo. Allora lo picchia con la stampella e lo costringe a riportare la moglie nell’appartamento dove la accudisce salvandola.

Inizia però un periodo ancora più tremendo per gli invalidi di guerra come lui: non trovano lavoro e diventano mendicanti senzatetto, annegando i problemi nell’alcol. Però Putin padre trova posto come fabbro nella fabbrica di Egorov che costruiva vagoni ferroviari e l’azienda offre alla famiglia una stanza in una casa comunale in centro città: avevano un bagno comune da condividere con altri venti vicini. Questi cortili erano chiamati “pozzi” perché se ci si pone al centro alzando gli occhi al cielo sembra proprio di essere sul fondo di un pozzo.

La città era ambiente ideale per la criminalità organizzata e la polizia non riusciva ad acchiapparli perché quando arrivava tutti scappavano nascondendosi come scarafaggi nei numerosi passaggi segreti. Putin, il futuro presidente, dalla strada impara il motto “picchia per primo” perché aspettare potrebbe essere tardi. Impara però anche una sorte di codice d’onore; la lealtà verso gli amici (bisogna rispettare chi merita rispetto e bisogna farsi rispettare e ricordo una giovane e bellissima peruviana che aiutava la mia mamma affetta da Parkinson quando un giorno la sentii dire per telefono ad una zia: “tu rispetti me ed io rispetto te”, insomma certi principi valgono ovunque). E senza scampo in Putin il desiderio di annientare “i traditori”.

Fatto importante riguardo lealtà ed amicizia: era stato battezzato dal padre di Cirillo, il Kirill patriarca dell’odierna Chiesa ortodossa di Mosca.

Tra le esperienze formative dell’adolescenza Putin ricorda la palestra di pugilato dove però gli ruppero subito il naso e quindi l’iscrizione al sambo lotta molto diffusa dove incontra un “maestro di vita”, il suo allenatore Anatolij Rahlin che lo allontanò definitivamente dalla strada.

Il sambo era anche un programma di educazione fisica valido per militari dell’esercito, poliziotti, ufficiali di sicurezza.

Queste radici familiari e della giovinezza di Putin ci riportano ad un’Italia lontana e l’accostamento con I ragazzi della Via Paal è già stato fatto da qualche autorevole e Putin stesso poi verrà investito di un ruolo da sentinella della Russia che fa ricordare La piccola vedetta lombarda di Cuore.

KGB (Comitato per la sicurezza che doveva individuare le spie e gli anticomunisti): Putin ragazzo vi si presenta per potervi lavorare ma viene a sapere che non ci si propone ma si è cercati e scelti e che requisito fondamentale è la laurea. Chiede in quale Facoltà e la risposta è “tutte”, però chiede ancora quale sia la migliore, risposta "Legge" e Putin per l'appunto entra alla Facoltà di Giurisprudenza e al quarto anno viene chiamato dal KGB dove presta servizio dal 1975 al 1991. Né si può dimenticare la frase del saggio Kissinger: “Tutte le persone per bene hanno iniziato nei servizi segreti”. Putin si sposa e il matrimonio dura trenta anni e la moglie ha detto: ‹‹Lui ha sempre vissuto per qualcosa di più grande››.

Putin viene destinato in Germania anche perché conosceva bene il tedesco e vi rimane per cinque anni, ma alla caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989, Putin rientra a Leningrado. Il Kgb  è in grave difficoltà e il 5 dicembre del 1989 una folla di manifestanti tedeschi cerca di assaltarne la sede del quartiere generale ma Putin, definendosi un interprete, esce da solo incontro alla folla e chiede cosa vogliono. Risposta: “Ispezionare il palazzo” e replica di Putin: “E’ di proprietà dell’esercito sovietico e i miei compagni all’interno sono armati  ed hanno disposizione di difendere il palazzo”. Convince i manifestanti che se ne vanno ma qui risalta anche una sua caratteristica che il Kgb aveva considerato negativa: “possiede un troppo limitato senso del pericolo”. Ora tornato a Leningrado, il Kgb in difficoltà non gli paga lo stipendio e per un anno non riceve neanche un rublo tanto che pensa perfino di fare il tassista ma alla fine trova un impiego presso l'Università come assistente del rettore per le relazioni esterne e decide di preparare il dottorato. Incontra Anatolij Sobchak, docente universitario e leader del movimento democratico ai primi passi in politica per Nova Russia. Questi fu eletto presidente del Consiglio municipale e proprio nel 1991 diventa sindaco (carica che fino ad allora non esisteva). Sobachak era un visionario e voleva far ritornare Leningrado come  San Pietroburgo che Pietro il Grande aveva chiamato “la finestra sull'Europa", cioè biglietto da visita di una Russia nuova, moderna, riformata, democratica.

Quel 1991 per la Russia fu drammatico e un giornalista Nikolai Andrushenko attivo nel movimento anticorruzione e deputato del Consiglio municipale di Leningrado ricorda un colloquio con Putin che lo lascia affermando “bisogna fare la grana!” frase molto indicativa come nel periodo di carestia dirà agli elettori “bisogna stringere la cinghia".  Putin è un pragmatico ed era stato nominato da Sobachak  alla presidenza del Consiglio di sorveglianza sui giochi d’azzardo. Il giro della case da gioco era anche luogo privilegiato per il riciclaggio di denaro sporco e i gruppi criminali si contendevano il territorio di San Pietroburgo. Nel 1991 si fanno più evidenti le tensioni nelle Repubbliche baltiche ma quella che era chiamata Rivoluzione cantata perché basata su dimostrazioni accompagnate da canti popolari a Vilnius vede i primi morti negli scontri con le forze dell’ordine (15 i morti, novecento i feriti). Nel 1992 scoppia la guerra civile in Transnistria, poi iniziano i pregiudizi antirussi e in Moldavia prende piede un partito nazionalista (ben sovvenzionato dall’occidente) che incolpa della miseria i russi e lo stesso succede in piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Armenia, ecc.). Il motto dei nazionalisti era: “valigia, stazione, Russia” cioè i russi dovevano seguire questo iter e andarsene a casa. Dopo la sconfitta elettorale a San Pietroburgo Sobachak era distrutto e Putin considerato la sua eminenza grigia era anche una sorta di “boss” della nuova mafia, basata sui legami tra politica, criminalità organizzata, oligarchi e strutture commerciali.

La stampa scrisse che  Putin aveva acquistato una faraonica villa a Biarritz sulla costa atlantica della Francia, ma Putin dichiarò di non sapere nemmeno dove fosse quella località solo che quella villa è entrata a far parte del patrimonio di Ekaterina, una delle sue due figlie. Sobchack, ormai caduto in disgrazia, venne interrogato e avrebbe dovuto scattare l’arresto ma ebbe un malore in aula e fu ricoverato in ospedale dove grazie a Putin fu prelevato da un’ambulanza e portato in Francia su un aereo privato, affittato per trentamila dollari. Si diede alla scrittura ed il suo libro s’intitolò Una dozzina di coltelli alla schiena e pur se non conduceva vita da povero non esistono prove concrete di un suo patrimonio milionario. La decisione da parte di Putin di salvarlo deriva dall’acuto senso di solidarietà, rispetto e gratitudine nei confronti di un uomo considerato amico e in un certo senso maestro. Questo senso di umanità grande di Putin risalta anche nel rapporto con la sua famiglia. Il 31 dicembre 1999 quando Eltsin inaspettatamente rassegna le dimissioni, Putin diviene presidente ad interim della Federazione Russa. Ha ormai sconfitto il terrorismo ceceno e vorrebbe che, morta ormai la madre, il padre venisse a vivere con lui al Cremlino, ma il padre rimane sulle rive della Neva e Putin ogni fine settimana si reca appunto a San Pietroburgo per stare in sua compagnia qualche ora.

Non desidero ora affrontare tutto quel periodo di commistione anche con la mafia di Putin al potere che nel libro è ben rievocata ma ricordare il tipico umorismo russo per cui mentre la Nato che parla sempre di “minaccia russa” ha ormai puntato sulla Russia i suoi missili distribuiti nelle base militari che ormai circondano il Paese, i russi commentano il pensiero della Nato: “ma come sono cattivi questi russi: guardate quanto vicino alle nostre basi hanno piazzato le loro frontiere”. Putin però  così rassicurò i propri sostenitori: “L'arroganza e l'aggressività della nuova linea politica estera statunitense non rimarranno impunite”.                    

Putin prima dell’invasione dell’Ucraina ha cercato più volte di parlare all’Occidente senza essere ascoltato e già nella Conferenza di Monaco del 2007 aveva indicato alcune linee programmatiche: “Nelle relazioni internazionali non può esistere un modello unipolare. Gli Usa devono smettere d’imporre la propria visione politica, La Nato non rispetta gli accordi internazionali, la Russia continuerà ad impostare la propria politica estera basandosi solo sui propri interessi”.

C’è però da considerare un fatto messo in risalto nel libro: “Putin non capisce più i giovani russi e loro non lo capiscono a fondo”. E questo slogan lo spiega bene: “L’acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-cola ha lo zucchero e le bollicine”.

 

Bravo, proprio bravo questo scrittore Nicolai Lilin: ci fa capire tante cose della Russia e della sua storia dal Novecento ad oggi. Ci sa interessare con la sapienza di una scrittura moderna e senza fronzoli ma anche con una precisa e veritiera documentazione. Insomma ci fa aprire gli occhi su verità che non ci sono mai state così ben raccontate.

 

 

 

                LA LINEA DEI MIRTILLI

                                     Paolo Rumiz

 

                          

 

 

                      

                        Luci sul mare

              Claudio Visentin

 

                          Io, altrove di Andrea Bocconi

 

Ho voluto chiudere la pagina sulla guerra con questo libro sui fari della Scozia, come una luce che possa farci riprendere il cammino dopo il dolore delle immagini che ci trasmette la Tv. Che questi fari siano una speranza anche per noi come lo sono stati per i naviganti. E d’altra parte i fari che da quello della Vittoria di Trieste sono disseminati lungo la costa di Istria venivano chiamati “la collana della Regina Margherita”.

Però prima di leggere questo libro in formato tascabile ero prevenuta, invece fra tutti quelli che ho recensito in questa pagina è davvero quello che ho sentito più congeniale.

L’autore, Claudio Visentin nato a Milano nel 1964 insegna Storia del turismo all’Università della Svizzera italiana. Collabora al supplemento domenicale del “Sole 24 Ore” e nella sua rubrica per il settimanale svizzero “Azione”. E’ fondatore della Scuola del Viaggio e autore di altri libri.

Mi disturbava in un primo tempo che i fari scozzesi fossero non fotografati ma ritratti a matita dal collaboratore Alessandro Alghisi e proprio per farvi capire come mi sbagliassi parto da un faro, il leggendario Bell Rock. che è citato nel libro anche come ritratto da Turner ed è conservato nel National Museum of Wales in Galles.

Ecco il disegno e a fianco il quadro famoso e una foto dal vero.

 

                          

                    

 

Poi però ho apprezzato la bellezza dei disegni a matita di Alessandro Alghisi, imparando dal libro quando l’autore deve imbarcarsi sulla May Princess una barca per escursioni ma a metà giornata la trova già piena di  pensionati in calzoncini bianchi che sono pronti per andare a giocare a golf (tantissimi i campi per questo sport in Scozia). L’autore compra uno degli ultimi biglietti ma poi decide di restare a terra per “un invincibile attacco di snobismo” o forse perché desidera gustarsi il viaggio da solo avendo prenotato una stanza in una casa di campagna.  Anch’io riguardo ai disegni ero preventivamente affetta da un mio attacco di snobismo, invece ora più che mai ho capito come il disegno sia più suggestivo di ogni immagine anche dello splendido quadro di Turner e sicuramente della foto perché vi è un’essenzialità come se l’animo di chi disegna entrasse in sintonia massima con ciò che vede e sta rappresentando.

Con  questo libro sono entrata al massimo in sintonia perché vi sono

leggende

-             la maledizione di una strega che fa morire il conte di Angus a soli 34 anni ed era proprietario del castello di Tantallon del XIV secolo le cui rovine sono poco distanti da Edimburgo ed un’altra strega è ricordata come citata da Water Scott in quanto si guadagnava da vivere vendendo venti favorevoli ai marinai nel villaggio di Stromness

storia

-             a partire dalla spiegazione che le Orcadi sono una settantina di isole di cui solo una ventina abitate e con quasi ventimila

abitanti e furono unite con le Shetland alla Scozia nel XV secolo (in quanto dote di Margherita di Danimarca che nel 1469 andò in sposa al re di Scozia Giacomo III. Il golfo di Scapa Flow è formato da esse (e le isole sono separate da canali poco profondi) e fu il rifugio della flotta da guerra inglese, però nella notte tra il 13 e il 14 ottobre 1939 il sommergibile U-47 vi riesce a penetrare  affondando la corazzata HMS Royal Oak. Nonostante la perdita di ottocento marinai alla Camera dei Comuni il primo lord dell’ammiragliato Winston Churchill affermò che il raid era stato “un importante successo di capacità professionali ed audacia”. (Come i politici devono saper mentire bene!)

E comunque la storia si può dividere tra antica o delle origini e la più recente.

Ancora a fine Settecento i “razziatori” erano in agguato per depredare le navi ed accendevano falsi fuochi per ingannare i timonieri o legavano perfino una lanterna alla coda di un cavallo per simulare le oscillazione di un’altra imbarcazione.

uomini = i guardiani dei fari!

-             Vivevano in piccole stanze con letti curvi a castello (detti “banane”) per

 assecondare la forma del faro e affrontavano lunghi periodi

 solitudine (sei settimane in servizio e due di riposo). La famiglie dei guardiani

 invece erano collocate sulla costa accanto ad una torre da dove comunicavano con il

 faro con segnali convenuti: in occasione della nascita di un figlio se maschio si

 esponevano calzoni, se femmina una gonna.

una donna. In Usa alcuni fari furono affidati a donne, mai in Scozia dove però moglie

  - e figlie di guardiani in caso di necessità sapevano sbrigarsela egregiamente.

  In Usa Ida Lewis divenne famosa per aver salvato decine di naufraghi.

gli Stevenson Non si può raccontare la storia dei fari scozzesi senza parlare di loro.

 - Ancora negli anni Ottanta del Settecento il fabbro Thomas Smith costruiva lampade e

 lampioni per la città nuova di Edimburgo e nel 1787 dopo aver studiato gli specchi a

 parabola che amplificavano la luce di una candela si rivolge al Northern Lighthouse

 Board diventandone il primo ingegnere e sposa vedova da precedenti matrimoni Lillie

 Stevenson, che aveva un figlio adolescente, Robert (futuro costruttore di Bell Rock)

 e questi ne prende poi il posto al Northern Lighthouse Board per costruire Bell Rock - ed è il periodo delle guerre napoleoniche – riesce ad ingaggiare e addestrare un

 centinaio di uomini. Con spirito promozionale nel 1814 si fece accompagnare nella

 visita ai fari dallo scrittore Walter Scott che era all’apice del successo e che

 scrisse una poesia nel registro del faro di Bell Rock.

  I figli continuano la sua opera e a loro si devono il Muckle Fugga e il Dubb Artach.

  Sugli Stevenson diversi libri sono citati nel “Congedo” dell’Autore al Lettore tra

  cui Lo Splendore degli Stevenson. Una dinastia di costruttori di fari tra ingegno e

  letteratura di Bella Bathurst e poiché la famiglia era attraente per scriverne sono

  citati altri libri su di loro.

le Guide. Nel suo viaggio Claudio Visentin si affida al suggerimento e competenza di

-             alcune persone che incontra e che quindi ho genericamente definito “guide”. In

genere si tratta di donne e come le fotografasse ce ne restituisce un’immagine che è un omaggio alla femminilità e di questi tempi in cui le donne vanno "vestite nude" come diceva una mia zia bobbiese succede che il troppo esposto senza alcun mistero meno attragga. Delle guide incontrate dall’autore ricordo le "basette d'argento” di una, i capelli rossi di un’altra e i bottoni d’oro della divisa di un’altra ancora. Il suo ultimo incontro: un uomo Tony Humbleyard  che nel 2005 è diventato proprietario di una casa di guardiani sulla costa davanti al faro di Muckle Flugga. Ha studiato ad Halifax e poi alla Università di Highlands and Islands di Inverness. Visitò tutte le isole della Scozia decidendo poi di trasferirsi nelle Shetland.

 E’ uno scultore vegetariano, buddista che la mattino cammina lungo la scogliera e

 nuota in mare e trova l’inverno una stagione molto produttiva per i suoi lavori

 mentre d’estate ospita colleghi, artisti e scrittori.

Northern Lighthouse Board Istituito nel 1786 da un edificio di Edimburgo controlla gli

-             oltre duecento fari della Scozia. Alla domanda dell’autore “se avrà un futuro in

 questo tempo dove ogni spostamento è regolato dalla navigazione satellitare e se i fari servano ancora?”  la risposta è: "nostro compito principale è provvedere tuttora alla sicurezza dei naviganti c'è anche un ritorno per richieste crescenti di visite ai fari. Alcuni sono già aperti ai visitatori.

Per concludere questa affascinante lettura  l’immagine del Forth Railway Bridge il ponte ferroviario costruito  nell'ultimo decennio dell’Ottocento di cui si diceva “dipingere il Forth Bridge, un lavoro senza fine” in quanto a verniciatura completata poiché  è lungo due chilometri e mezzo già si deve iniziare daccapo e negli ultimi anni lo si è fatto per ventimila metri quadri di pittura e centotrenta milioni di sterline.

 

            Risultato immagine per forth railway bridge view brighouseRisultato immagine per forth railway bridge view brighouse

 

Altra immagine con cui desidero finire è quella della Sula, il più grande uccello marino delle isole britanniche che raggiunge i due metri di apertura alare e che l'Autore descrive  così: “Le sule sono bianche con la punta delle ali nere e una sfumatura dorata nel piumaggio sul capo. Potenti e aggressive. Quando scorgono una preda appiattiscono le ali lungo il corpo e allungano il collo fino a diventare dei dardi viventi…Bucano la superficie del mare a quasi cento chilometri l’ora e s’immergono fino a dodici metri di profondità”.

 

             

 

   Claudio Visentin ripropone Scienza, Storia con sguardo poetico.

 

Piccola osservazione ad inizio libro vi è questo motto delle isole Orcadi “Boreas domus, mare amicus”

che nella traduzione diventa “Il nord è la mia casa, il mare mi è amico” e così scopriamo lo spreco di parole proprio del nostro bell’Italiano.